La Commissione Europea ha presentato la “Defence Readiness Roadmap 2030”, un piano quinquennale che mira a trasformare radicalmente l’architettura difensiva dell’Unione attraverso un calendario serrato di implementazione. Il documento si propone, secondo i suoi artefici, di rafforzare la sovranità e la prontezza militare dell’Unione in un contesto geopolitico segnato dall’aggressione russa in Ucraina. La strategia delinea obiettivi concreti e tappe precise per raggiungere la piena prontezza al combattimento entro la fine del decennio. Si apre così la strada a una mobilitazione finanziaria che, a quanto si legge nel documento, potrebbe raggiungere 800 miliardi di euro di spesa aggiuntiva entro il 2030.
Il piano, battezzato “Preserving Peace – Defence Readiness Roadmap 2030”, individua [1] nove settori critici in cui gli Stati membri devono colmare le lacune entro il 2030: difesa aerea e missilistica, tecnologia cyber, artiglieria, mobilità militare, missili, munizioni, combattimento terrestre e sfera marittima. Quattro progetti faro sono stati definiti come prioritari e dovranno essere implementati con massima urgenza: l’ “Osservatorio del fianco orientale” e il “Muro di droni” europeo sono considerati i più urgenti. Come ha affermato Kaja Kallas, Alta rappresentante e vicepresidente della Commissione, «avere difese anti-drone non è più un optional per nessuno: oggi proponiamo un nuovo sistema anti-drone che sarà pienamente operativo entro la fine del 2027». Completano il quadro lo “Scudo aereo” per una protezione integrata contro missili e minacce aeree e lo “Scudo spaziale di difesa”, concepito per garantire la resilienza degli asset spaziali. «Gli europei investiranno fino al 2035 6.800 miliardi di euro; nella difesa vera e propria, il 50%, cioè 3400 miliardi di euro», ha dichiarato il Commissario europeo per la difesa Andrius Kubilius.
La Roadmap stabilisce target rigorosi per gli acquisti: gli Stati membri dovranno organizzare almeno il 40% degli acquisti di difesa come appalti collettivi entro la fine del 2027, raddoppiando il tasso attuale. Entro il 2030, quasi il 60% del budget per gli acquisti dovrà provenire dalla Base Tecnologica e Industriale della Difesa Europea e dall’Ucraina. «Oggi è il giorno dell’azione: la nostra tabella di marcia odierna crea le condizioni per piani, calendari, risultati e indicatori chiari», ha sottolineato Kubilius, aggiungendo che «si tratta di un vero e proprio Big Bang, basato principalmente sulla spesa per la difesa nazionale, che sarà 100 volte superiore a quella dell’Ue».
Il calendario operativo è particolarmente stringente. Entro la prima metà del 2026 dovranno avviarsi tutti i progetti prioritari e formarsi le “coalizioni” di Stati guida. Se la capacità iniziale del muro di droni dovrà essere funzionante entro il 2027, l’orizzonte temporale per la piena operatività dell’Osservatorio del Fianco Orientale si sposta all’anno successivo. Entro marzo 2026 sono previsti i primi pagamenti di prefinanziamento nel quadro SAFE (Security Action for Europe), il meccanismo di prestito che può fornire fino a 150 miliardi di euro garantiti dal bilancio Ue. Il piano vede inoltre l’obiettivo di creare entro la fine del 2027 un’area di mobilità militare a livello europeo, caratterizzata da procedure armonizzate e una rete di corridoi per il trasporto senza ostacoli di truppe ed equipaggiamenti. La Commissione si impegna a presentare un pacchetto completo entro fine anno per identificare questi corridoi entro il primo trimestre 2026. Un ruolo centrale è assegnato all’Ucraina: entro marzo 2026 si intende avviare l’alleanza Ue-Kiev sui droni, mentre entro dicembre dovrebbe completarsi la consegna dei due milioni di munizioni promesse dal ‘piano Kallas’.
Il piano sarà ora sottoposto ai leader dell’Ue per una discussione formale durante il Consiglio europeo in programma la prossima settimana. A inizio ottobre, il vertice informale di Copenaghen, pensato per rinsaldare la coesione europea sulla guerra in Ucraina, aveva messo in luce una serie di importanti fratture tra i Ventisette. Pur rinnovando il sostegno a Kiev, i leader hanno infatti manifestato [2] divergenze su questioni chiave: la proposta del “muro anti-droni” ai confini orientali ha diviso Paesi come Polonia e Stati baltici, favorevoli a un sistema coordinato finanziato dall’UE, e Stati più cauti preoccupati per costi e potenziale militarizzazione permanente delle frontiere. Il clima è stato ulteriormente acceso dall’allerta del Segretario generale della Nato Mark Rutte: «Siamo tutti in pericolo, i più avanzati missili russi potrebbero colpire Roma, Amsterdam o Londra a cinque volte la velocità del suono». Sull’adesione dell’Ucraina, Budapest ha alzato la posta: Viktor Orbán ha ribadito il suo netto «no», proponendo al massimo un accordo strategico e annunciando una petizione del suo partito contro quelli che ha definito «i piani di guerra dell’UE». Da Mosca, Vladimir Putin ha respinto le accuse di intenzioni aggressive, bollandole come propaganda rivolta all’opinione pubblica occidentale.