La Corte di Cassazione italiana ha annullato la decisione che disponeva la consegna alla Germania di Serhii Kuznietsov, ex ufficiale ucraino arrestato lo scorso agosto a Rimini su mandato europeo per il presunto sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2. Il caso dovrà essere riconsiderato da un nuovo collegio giudicante. Gli ermellini hanno accolto un ricorso della difesa, che contestava una “erronea qualificazione giuridica” dei fatti riportati nel mandato europeo, tale da compromettere il diritto di difesa dell’imputato. L’uomo, 43 anni, ex militare con trascorsi nei servizi speciali di Kiev, rimarrà dunque in Italia in attesa di una nuova valutazione della Corte d’appello.
La decisione della Cassazione ruota intorno alla corretta applicazione del mandato d’arresto europeo (MAE) e ai limiti della cooperazione giudiziaria tra Stati membri. Secondo la difesa di Kuznietsov, la Corte d’appello di Bologna avrebbe travisato il contenuto del MAE emesso dalla Germania, introducendo accuse non contemplate nel testo originario – tra cui l’associazione terroristica – aggravando così indebitamente il quadro accusatorio. Tale errore avrebbe inciso sul diritto dell’imputato di partecipare effettivamente al processo e di essere giudicato solo per i fatti specificamente contestati dall’autorità richiedente. La Cassazione ha ritenuto fondate le eccezioni, riconoscendo un vizio procedurale sostanziale che invalida il provvedimento di consegna. L’avvocato di Kuznietsov, Nicola Canestrini, ha annunciato che chiederà la scarcerazione del suo assistito, ritenendo venuto meno il titolo giuridico che ne giustificava la detenzione. La sentenza non assolve l’imputato né esclude le accuse, ma sancisce la necessità di una nuova valutazione del caso, ribadendo che neppure nell’ambito della cooperazione giudiziaria europea possono essere sacrificati i princìpi fondamentali del giusto processo.
La vicenda [1] si inserisce in un contesto geopolitico delicatissimo. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, avvenuto nel settembre 2022, fu inizialmente attribuito alla Russia, in un clima di forte tensione internazionale e di contrapposizione energetica tra Mosca e l’Unione Europea. Nel corso delle indagini, numerosi elementi hanno messo in dubbio quella versione per poi ribaltarla radicalmente: diverse inchieste giornalistiche prima e giudiziarie poi hanno evidenziato il coinvolgimento di cittadini ucraini e indicato il possibile coinvolgimento di altri soggetti legati a Paesi della NATO. Kuznietsov ha respinto ogni addebito sulla vicenda, ostenendo di essere vittima di un errore giudiziario e di pressioni politiche legate al contesto internazionale. Secondo quanto ricostruito in particolare dagli inquirenti tedeschi, sarebbe stato proprio lui a capo della missione partita alla volta dei gasdotti il 7 settembre 2022 da Rostock: con lui a bordo, quattro sommozzatori civili esperti e due militari d’élite. Proprio in questo quadro, l’arresto di Kuznietsov non è un caso isolato. All’inizio di ottobre un secondo cittadino ucraino, identificato come Volodymyr Z., è stato arrestato [2] in Polonia, sempre su mandato della Germania, per presunta partecipazione allo stesso sabotaggio. Anche in quel caso, le autorità di Varsavia stanno valutando se procedere con l’estradizione, tra le perplessità del governo Tusk e l’irritazione di Berlino. L’inchiesta tedesca, finora, non ha fornito un quadro univoco. Alcuni rapporti interni suggeriscono che il gruppo responsabile dell’operazione potrebbe aver agito in modo indipendente, ma con accesso a mezzi tecnici di livello militare, mentre altre fonti internazionali – tra cui il giornalista statunitense Seymour Hersh [3] – hanno ipotizzato il coinvolgimento di forze occidentali, in particolare statunitensi e norvegesi. Una tesi mai confermata, ma che continua ad alimentare divisioni e sospetti.
La decisione della Cassazione italiana arriva in un momento di crescenti tensioni diplomatiche in Europa, a margine della riunione dei ministri della Difesa NATO a Bruxelles per discutere proprio di regole comuni (tra cui una serie di misure anti-droni) e l’intensificazione del settore bellico. Il rifiuto di consegnare Kuznietsov alla Germania rappresenta, da un lato, la riaffermazione del principio di legalità e della tutela dei diritti processuali, dall’altro un potenziale attrito con Berlino, che considera l’indagine sul sabotaggio una questione di sicurezza nazionale. L’Italia, pur rispettando gli obblighi di cooperazione europea, ha scelto una linea di prudenza che sottolinea la necessità di garantire la correttezza formale e sostanziale dei procedimenti. Nei prossimi mesi, la nuova Corte d’appello dovrà riesaminare la posizione dell’ex militare ucraino. Oltre alla vicenda giudiziaria, resta l’interrogativo politico: chi ha davvero sabotato il Nord Stream? Una domanda che continua a pesare come un macigno sulle relazioni internazionali e sull’opinione pubblica europea, tra ombre di operazioni coperte, silenzi istituzionali e insabbiamenti. Il caso Kuznietsov, più che un episodio giudiziario, appare oggi come un simbolo: quello di un’Europa spaccata tra interessi strategici contrapposti, pressioni atlantiche, corsa al riarmo e l’urgenza di riaffermare la sovranità delle proprie istituzioni di fronte ai grandi giochi della geopolitica.