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Francia: Macron per sopravvivere promette di sospendere la riforma delle pensioni

«Non ci sarà alcun aumento dell’età pensionabile da ora fino a gennaio 2028». In un tentativo disperato di restare al potere, Emmanuel Macron – attraverso il suo primo ministro Sébastien Lecornu – annuncia la sospensione della contestatissima riforma delle pensioni fino alle elezioni presidenziali del 2027. È una mossa al margine del baratro: i socialisti, che detengono in Parlamento il ruolo di ago della bilancia, avevano minacciato di ritirare la fiducia al governo in assenza di questa concessione. Lecornu ha accettato l’ultimatum, congelando l’innalzamento dell’età pensionabile e lo slittamento dell’aumento dei contributi.

La riforma delle pensioni, approvata nel 2023 senza passare per un voto diretto (grazie all’uso dell’articolo 49.3 della Costituzione), prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni e l’allungamento degli anni di contribuzione necessari per ottenere una pensione piena. Il 14 ottobre, durante il discorso di politica generale all’Assemblea nazionale, Lecornu ha annunciato che proporrà formalmente al Parlamento la sospensione della riforma «fino alle presidenziali». La decisione è stata accolta con applausi in parte dei banchi socialisti, che già avevano posto come condizione la sospensione della legge per non presentare mozioni di sfiducia. Lecornu, che ritenta per ordine di Macron di fare un governo e una manovra finanziaria per la Francia, ha ribadito che la sospensione non può essere meramente simbolica, sottolineando che servirà una nuova soluzione condivisa. Sostegno alla decisione è arrivato anche da esponenti critici della riforma: l’ex ministra Ségolène Royal l’ha definita «ingiusta», e ha salutato con favore il congelamento, parlando di «riappacificazione sociale».

La mossa di Lecornu ha lo scopo dichiarato di neutralizzare l’attacco congiunto della sinistra radicale (La France Insoumise) e dell’estrema destra (Rassemblement National), entrambi pronti a presentare mozioni di censura, salvando così il destino traballante dell’Eliseo. Marine Le Pen, il cui partito viene dato come il favorito nei sondaggi in caso di nuove elezioni, torna a invocare il ritorno al voto. Tuttavia, nessuna mozione potrà avere successo senza l’appoggio del Partito Socialista, che in questa fase appare restio a premere il grilletto. Il segretario del PS, Olivier Faure, ha dichiarato stamattina che i suoi deputati introdurranno nella manovra la “tassa Zucman“, detta “sui super ricchi”, con un emendamento. La tregua, però, potrebbe rivelarsi solo un’arma a doppio taglio. La tassa ideata dall’economista Gabriel Zucman prevede un’imposizione straordinaria sull’1% della popolazione mondiale, i cosiddetti “super ricchi”, pari all’1,3%. Alla Francia, secondo i calcoli, potrebbe portare nelle casse dello Stato fra i 15 e i 25 miliardi di euro.

Se da un lato la sospensione neutralizza l’avversario politico più pericoloso, dall’altro può essere percepita come l’ammissione del fallimento della riforma, o come una rinuncia che mina la credibilità del governo stesso. Il rischio è che scelti i punti critici – pensioni, bilancio, scelte sociali – l’elettorato interpreti la mossa come debolezza: un Macron che retrocede dopo avere forzato la legge nonostante le infuocate proteste di piazza. Dal punto di vista economico, la sospensione avrà un costo [1] stimato: 400 milioni di euro nel 2026 e 1,8 miliardi nel 2027, secondo alcune fonti francesi. In un momento in cui il deficit pubblico francese è sotto stretta osservazione e in presenza di vincoli europei, trovare risorse alternative sarà inevitabile. In Parlamento, Lecornu ha promesso di non fare ricorso al 49.3 per bypassare i passaggi legislativi, ma di sottoporre ogni proposta al dibattito e al voto. Sarà una prova di governo da sopravvivenza: ogni emendamento, ogni voto può essere micidiale.

La riforma delle pensioni sostenuta da Macron non è nuova fonte di tensione: nel 2023 aveva già provocato mesi di proteste dure, scioperi generali e scontri di strada. A marzo [2] di quell’anno, in occasione dell’uso del 49.3 da parte del governo Borne, migliaia di manifestanti occuparono Place de la Concorde, furono effettuati gas lacrimogeni, decine di arresti, numerosi feriti. In città come Lione o Digione, l’ondata di mobilitazione fu forte e duratura: la riforma era percepita come un colpo al sistema sociale, un azzardo generazionale, uno scontro tra visioni disparate. Macron aveva allora mostrato il volto rigido del tecnocrate europeo, deciso a portare avanti la “modernizzazione” dello Stato a costo della pace sociale. Oggi, due anni dopo, l’inquilino dell’Eliseo tenta di salvarsi con la stessa freddezza calcolatrice che lo ha reso sempre più distante dal Paese reale. La sospensione della riforma non nasce da una rinnovata sensibilità verso le istanze sociali, ma da un puro istinto di sopravvivenza politica. Macron non cede per convinzione: arretra perché è accerchiato. Sospende la riforma per guadagnare tempo, non per cambiare rotta. Dietro la facciata di una tregua istituzionale, si nasconde un governo logorato, senza consenso, che tenta di resistere col bilancino dei compromessi. Lecornu diventa il suo scudo umano, la pedina sacrificabile di una partita già scritta, mentre Macron osserva da lontano e misura i sondaggi. La Francia reale, intanto, è sempre più esausta [3]: salari fermi, crescente insicurezza dell’occupazione, l’uso crescente di contratti a termine e lavoro temporaneo, specialmente tra i giovani, precarietà dilagante.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.