- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Ciudad Bolivar un anno dopo: tutto è cambiato, nulla è cambiato

Nel Nord di Ciudad Bolivar, a Bogotà, in un anno non è cambiato niente e contemporaneamente tutto. Sono tornato in Colombia per una missione di un mese dopo un anno di assenza. Nel frattempo, la nostra Scuola ha iniziato il percorso di accreditamento del Baccalaureato Internazionale, il diploma più riconosciuto al mondo, per offrirlo gratuitamente ai bambini più vulnerabili dell’America latina. Questo è un momento tanto fondamentale quanto delicato, e sono tornato qui per supervisionare il suo corretto  compimento. 

Ho scelto un alloggio in prossimità della Scuola, a Ciudad Bolivar, nel profondo sud della città. Dovrò recarmi a scuola ogni giorno e dunque soggiornare nel confortevole ed europeo settentrione della città sarebbe alquanto impraticabile. Questa mia scelta, per molti “rollos” – così si chiamano gli abitanti di Bogotà – è assolutamente scellerata.  

Stando alla cronaca, alle statistiche, e ai racconti di coloro che non ci abitano, Ciudad Bolivar sembra essere un inferno in terra. Narcotraffico, gangs armate, furti violenti. Un posto da non visitare «nemmeno con sessanta guardie del corpo», scherza un funzionario della Segreteria dell’Educazione, con il quale mi incontro poco dopo il mio arrivo. 

Eppure i sentieri in salita, i colori, la musica che si riversa nelle strade dai negozi, e la familiarità con cui la gente si parla mi hanno sempre fatto sentire, in un certo senso, a casa. Non è romanticismo o ingenuità. Sono perfettamente al corrente di quanto feroce questo quartiere possa diventare. Nonostante la relativa stabilità del Paese, Ciudad Bolivar ha un profilo di sicurezza oggettivamente pessimo. Attacchi al coltello sono all’ordine del giorno. Un passo falso in un’area non conosciuta può essere fatale. Del resto, il narcotraffico non è la sola crisi che attanaglia Ciudad Bolivar. Il quartiere è terreno fertile per i reclutamenti dei gruppi paramilitari che imperversano nelle zone contese del Paese, nella cornice di uno dei conflitti più longevi al mondo. Ma c’è di più. Qui a Ciudad Bolivar risiede gran parte della comunità di rifugiati venezuelani di Bogotà. Sono loro, ormai, che hanno il monopolio della raccolta dei rifiuti nelle strade del quartiere. Uomini, donne e bambini venezuelani, il pomeriggio tardo e la domenica si riversano per la strada impegnati a ripulire ogni angolo.  Nella nostra scuola internazionale, ciascuno dei nostri studenti si fa ambasciatore di una di queste realtà. Ma Ciudad Bolivar è più che un coacervo di situazioni drammatiche e disagi sociali. 

A dispetto di tutto, calcare queste strade, scambiare saluti cordiali, e origliare le conversazioni di perfetti sconosciuti indaffarati nelle loro esistenze, mi ricorda lo scorrere del tempo nelle città nostrane. Siamo separati da un oceano, ma il legame di parentela tra noi italiani e questo popolo è evidente. Anche per noi il quartiere è un mosaico di vite che si muovono in armonia, toccandosi e intrecciandosi in strade diverse.

Giungo alla mia residenza per il prossimo mese: la “Riserva della Maddalena”. Soltanto un anno fa, questa stessa palazzina era un cantiere in costruzione. Ora è un complesso residenziale totalmente funzionale, che conta sei torri di venti piani riunite intorno a un giardino comune. I residenti passeggiano freneticamente su e giù dalle scale, attraverso il giardino, mentre telefonano o portano a spasso i loro cani. La Riserva della Maddalena ha stravolto i connotati di un angolo di Ciudad Bolivar. Tutto è come prima al di fuori della Riserva, ma il fatto che questa esista è un segno lampante del cambiamento in atto. Le case di mattoni rossi sembravano attributi permanenti di queste vie. Ora, residenti più abbienti, e conseguenti investimenti, sono arrivati in questo angolo della città, spostando la popolazione originaria verso aree dove il costo della vita è più clemente. Così, il carattere di questo sobborgo di Ciudad Bolivar comincia a mutare irreversibilmente. 

L’effetto non si limita alla riqualificazione urbana. È più profondo. Determina la capacità di un Paese di creare un cambiamento che benefici tutti. Mi chiedo se questo cambiamento vada nella direzione giusta. Chiacchiero con una residente della città, che mi chiede cosa farò durante il mio soggiorno a Bogotà. Le spiego che mi recherò giornalmente nel Lucero Bajo. Scherzando, ma non troppo, mi dice che lei, in vita sua, non ci metterà mai piede. Ma la signora che le fa la manicure una volta al mese, che è una brava persona, viene proprio da quel quartiere. Ho già la mia risposta.

Avatar photo

Still I Rise

Still I Rise è un’organizzazione no-profit internazionale, che offre istruzione di eccellenza ai bambini profughi e vulnerabili in vari Paesi, con l’obiettivo di porre fine alla crisi scolastica globale. Completamente indipendente, Still I Rise è stata fondata nel 2018 ed è guidata da Nicolò Govoni.