La Repubblica Popolare Cinese sta riducendo sensibilmente le forniture tecnologiche provenienti dall’Europa, almeno per quanto riguarda le apparecchiature di telecomunicazione. Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa estera, nel mirino delle nuove restrizioni ci sarebbero in particolare la finlandese Nokia e la svedese Ericsson, aziende finite di fatto al centro del fuoco incrociato di una guerra commerciale e considerate da Pechino come un potenziale rischio per la sicurezza nazionale. La mossa appare come una risposta speculare alle decisioni prese nel 2020 da diversi Paesi europei, i quali bandirono [1]le tecnologie 5G dei colossi cinesi Huawei e ZTE. All’epoca, la misura fu per l’appunto giustificata con la necessità di tutelare la sicurezza nazionale, tuttavia la decisione cadde fatalmente in concomitanza con le forti pressioni esercitate da Washington, impegnata in una guerra commerciale e tecnologica con Pechino. Oggi, con l’acuirsi delle tensioni politiche ed economiche, non sorprende che – come riportato dal Financial Times [2] – Pechino si stia attrezzando per alleggerire i suoi legami con le industrie occidentali, imponendo loro un più stringente – e opaco – processo revisionale da parte della Cyberspace Administration of China (CAC).
Secondo quando riportato dalla testata, i criteri di valutazione correntemente adottati dalla CAC non vengono resi pubblici né spiegati ai fornitori, lasciando le imprese in una condizione di incertezza riguardo alle motivazioni e alle tempistiche delle decisioni.
La misura si inserisce in un contesto internazionale già segnato da diffidenze sull’origine e sull’affidabilità dei componenti 5G, oltre che dalla crescente politicizzazione delle scelte infrastrutturali nel settore delle telecomunicazioni. È l’ennesima conferma di come, in un mondo in cui anche tra alleati lo spionaggio digitale è una realtà quotidiana, nessun Paese ritenga più prudente fondare le proprie infrastrutture critiche su tecnologie provenienti da Stati che manifestano interessi divergenti. La decisione cinese di limitare l’accesso ai fornitori europei reitera come la sicurezza tecnologica sia divenuta una vera e propria leva strategica, tanto industriale quanto geopolitica. Le nuove revisioni di sicurezza e gli obblighi informativi imposti da Pechino costringeranno infatti i fornitori europei a investire risorse significative in compliance, tracciabilità dei componenti e certificazioni di sicurezza — processi complessi che possono tradursi in ritardi, modifiche contrattuali o, nei casi più estremi, nell’esclusione da gare e appalti strategici. Un panorama che, di fatto, spinge verso la localizzazione delle produzioni e che la Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina ha definito una “minaccia esistenziale” per le imprese europee.
Detto ciò, i rischi legati ai rapporti tecnologici tra Stati restano concreti, soprattutto in un contesto di interdipendenza in cui ogni azienda distribuisce prodotti a “doppio uso”, impiegabili sia in contesti civili, che militari. Gli USA stanno in questo periodo obbligando Bytedance a svendere [3]TikTok a imprenditori statunitensi vicini al governo, così da poter mettere mano sui suoi algoritmi. Parallelamente, molte aziende cinesi continuano a produrre sistemi di videosorveglianza che mostrano la tendenza [4] di inviare flussi di dati verso i loro server in Asia. Tuttavia, lo stesso governo cinese si affida [5] a tecnologie americane per alimentare i propri apparati di sorveglianza e controllo. Nel frattempo, anche Nokia [6]ed Ericsson [7]mantengono legami stretti con le forze armate europee e statunitensi — un elemento che, agli occhi di Pechino, potrebbe rafforzare l’idea di un potenziale rischio per la propria sicurezza interna.