Una maxi-richiesta di risarcimento da 2 milioni di euro per diffamazione è stata avanzata dalla Fox Petroli spa contro due attivisti ambientali di Pesaro, Roberto Malini, co-presidente di EveryOne Group, e Lisetta Sperindei, ex consigliera comunale. L’azione, giustificata dall’azienda con l’accusa che i due avrebbero diffuso informazioni false danneggianti l’immagine della società attraverso una «quotidiana campagna denigratoria e persecutoria», riguarda le contestazioni sollevate dagli attivisti sul progetto di impianto GNL e sulla presunta contaminazione dell’area di Torraccia-Tombaccia, vicino a zone abitate e a un’oasi naturalistica. La vicenda, che ha già suscitato l’attenzione di organizzazioni internazionali per i diritti umani, è considerata un caso emblematico di SLAPP (strategic lawsuit against public participation), ovvero di causa temeraria intentata per intimidire i critici.
Il conflitto [1] nasce da un esposto presentato a maggio 2025 dagli attivisti alla Procura, ai ministeri dell’Ambiente e della Salute e ad altre istituzioni. Nel documento, Malini e Sperindei denunciavano «una situazione di grave rischio ambientale e sanitario» presso il sito Fox Petroli, segnalando «un stato di degrado» ed «evidenti problematiche di contaminazione, sia del suolo che delle falde acquifere». Secondo gli attivisti, il progetto GNL «aggraverà ulteriormente» la situazione, soprattutto considerando la vicinanza a «un’area naturalistica tutelata, l’Oasi del fiume Foglia e a un centro urbano densamente popolato». La reazione dell’azienda non si è fatta attendere. Il 14 maggio scorso, gli avvocati della Fox Petroli hanno presentato al Comune di Pesaro una richiesta formale di accesso agli atti per ottenere copia dell’esposto, nonostante questo non fosse destinato alla diffusione, poiché parte integrante di un procedimento d’indagine. Nell’atto di citazione, la società – che prevede un investimento nell’impianto di almeno cinquanta milioni di euro – ha sostenuto che le affermazioni degli attivisti «gettano discredito su una società per azioni, che ha un fatturato di decine di milioni di euro», accusando Malini e Sperindei di procurare allarme nella popolazione «diffondendo notizie false e diffamatorie».
La disputa legale è diventata anche un caso simbolo per le organizzazioni che combattono le cosiddette SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation). Organismi internazionali come Front Line Defenders e la rete Coalition Against SLAPP in Europe (CASE) hanno segnalato [2] il caso e ne hanno denunciato [3] le caratteristiche tipiche — sproporzione economica tra le parti e intento intimidatorio — portandolo all’attenzione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Per queste ragioni, la causa è osservata anche come test per la nuova direttiva europea anti-SLAPP che l’Italia dovrà recepire entro il 2026. Dopo il fallimento del tentativo di mediazione tenutosi presso il Tribunale di Pesaro, la prima udienza è fissata per il 22 dicembre 2025. All’uscita dal tribunale, i due attivisti sono stati accolti da circa trenta cittadini che hanno manifestato sostegno.
«La citazione civile da due milioni di euro intentata da Fox Petroli contro me e Lisetta Sperindei è arrivata dopo due nostre azioni fondamentali: un appello urgente ai Vigili del Fuoco, che ha coinvolto anche la Prefettura e ha contribuito al diniego del Nulla Osta di Fattibilità, bloccando di fatto il progetto; e un esposto alla Procura, in cui ipotizzavamo, con documenti e fotografie, la presenza di inquinanti nel sottosuolo dell’area ex industriale – ha spiegato Roberto Malini a L’Indipendente –. La Procura ha aperto un’indagine e chiesto analisi ambientali, che però ancora non sono state eseguite. La causa, nella sostanza, si concentra su un termine contenuto in un nostro comunicato stampa: “degradato”. È un termine che abbiamo scelto con attenzione, supportato da documenti ufficiali, da evidenze visibili a occhio nudo – tubazioni arrugginite, serbatoi obsoleti – e da analisi già nel 2001 che indicano presenza di idrocarburi e piombo. In un piano di bonifica commissionato dalla stessa azienda si parla esplicitamente di terreni contaminati da smaltire. Se questa parola è oggi il pretesto per una SLAPP, significa che la libertà di espressione e il diritto di critica sono sotto attacco».
«Quello che ci preoccupa, più della causa in sé, è il silenzio delle istituzioni locali, che non ci hanno espresso alcuna solidarietà, e un sistema che tollera l’uso intimidatorio delle aule di giustizia contro chi difende l’ambiente e la salute – ha proseguito Malini –. Il 29 settembre, in Tribunale a Pesaro, la mediazione obbligatoria si è svolta in un clima freddo, senza reali tentativi di confronto. Nonostante questo, proseguiamo con determinazione la nostra azione: chiediamo che le analisi sul sito vengano finalmente effettuate, contrastiamo il ricorso al TAR dell’azienda e continuiamo a informare i cittadini». «Il nostro caso – conclude l’attivista – è stato riconosciuto come SLAPP da istituzioni europee, dal Relatore ONU per i Difensori dei Diritti Umani e da reti come CASE e Front Line Defenders. Ma ora è in gioco qualcosa che va oltre l’ambiente: il diritto dei cittadini a parlare, a denunciare, a difendere ciò che è pubblico».