L’Ordine dei giornalisti del Lazio ha inflitto una sanzione di censura a Maurizio Molinari, editorialista ed ex direttore di Repubblica, in ragione delle affermazioni rese nel corso della rassegna stampa di RaiNews 24 nel luglio 2025 riguardo a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Secondo il Consiglio di disciplina laziale, le sue parole – che includevano accuse di finanziamenti ricevuti da Hamas e di titoli accademici non posseduti – sono state considerate lesive della dignità della destinataria e mancanti di adeguata verifica fattuale. Il provvedimento, non definitivo, è motivato dalla valutazione che Molinari abbia diffuso “accuse infondate” senza adeguate fonti credibili, violando i doveri deontologici del giornalismo. L’anticipazione della decisione era stata resa nota dal sito Professione Reporter, riportata poi anche da altri media. Il legale di Molinari, l’avvocato Maurizio Martinetti, ha contestato la pubblicazione del provvedimento disciplinare, sostenendo che non fosse stato reso pubblico né ufficialmente accessibile, e annunciando la presentazione di un reclamo nei termini di legge, e ha parlato di una «arbitraria e illegittima diffusione di dati e informazioni personali» ai danni del suo assistito. Il caso nasce da esposti che chiedevano di valutare se quelle dichiarazioni non fossero contrarie ai princìpi di prudenza e responsabilità imposti dal codice deontologico.
L’entità della censura assume rilievo perché si tratta di una sanzione di secondo grado della scala disciplinare prevista per i giornalisti (dopo l’avvertimento, prima della sospensione e della radiazione). Il fatto che il Consiglio di disciplina laziale non abbia optato per un richiamo lieve ma per un provvedimento più grave segnala l’importanza attribuita alla questione e la serietà delle contestazioni. Non è irrilevante che il provvedimento non sia definitivo: Molinari può far valere i propri diritti presso il Consiglio nazionale e il giudizio può mutare in sede superiore. Alla base della censura vi è anche una questione di correttezza nei rapporti con le istituzioni internazionali: nelle segnalazioni si sottolinea che sia il portavoce dell’ONU sia l’Alto Commissario per i diritti umani, nonché il Presidente del Consiglio dei diritti umani, avevano difeso le funzioni svolte da Albanese, respingendo in varie sedi le accuse che le erano state mosse. Anche l’Unione Europea ha preso posizione per sostenere la legittimità del suo incarico. In questo contesto, Molinari avrebbe messo in discussione non solo la persona ma la credibilità dell’istituzione che Albanese rappresenta. Le sue parole a Rai News [1] 24 nel luglio scorso – riprese anche dai media nazionali – sostenevano che Guterres avesse definito Albanese «una persona orribile» e che l’ONU avrebbe tentato di impedirne la riconferma, ma che l’organismo «che è guidato da nazioni ed è sotto l’influenza di nazioni come l’Iran» l’avrebbe riaccettata. Molinari concludeva dichiarando «che questa sia una vicenda drammatica che evince la debolezza dell’istituzione delle Nazioni Unite e spiega perché Guterres aveva tentato in ogni maniera di impedire di rinnovare l’incarico a Francesca Albanese». In tale ricostruzione, Molinari imputava alla relatrice posizioni che «delegittimerebbero l’esistenza dello Stato di Israele, accusando il governo e l’intero Stato dei crimini più orribili», assumendo un tono decisamente accusatorio e politico, più che analitico. La maggioranza del Consiglio non pare aver trovato convincenti le fonti presentate dall’editorialista, e nega che egli abbia dato prova sufficiente della veridicità delle sue affermazioni. Ora la vicenda si sposta sul piano del ricorso: Molinari intende contestare il provvedimento, credendo che la censura sia in contrasto con la libertà di espressione e con il diritto a criticare figure pubbliche. Nel procedimento disciplinare pendente, tuttavia, l’Ordine dei giornalisti esercita una funzione di garanzia dell’etica professionale, verificando che le accuse, anche quando forti e provocatorie, siano sorrette da prove.
Questa decisione dell’Ordine laziale assume una valenza più ampia del caso singolo: indica un punto di scontro tra il potere interpretativo del giornalista e i limiti imposti dalla responsabilità professionale. Quando le dichiarazioni non sono frutto di indagine autonoma ma di atti di accusa sommari, l’autorità disciplinare interviene per tutelare il diritto alla reputazione, anche qualora il destinatario fosse una figura controversa o scomoda. Molinari, da anni sul piede di guerra contro le “fake news”, si è reso autore di affermazioni gravi senza accertamenti rigidi. La censura inflitta non è di carattere politico, bensì un richiamo formale all’accuratezza, alla verifica e al rispetto dei canoni professionali. L’ipocrisia appare lampante se si confrontano le sue parole di ieri con i suoi comportamenti di oggi. Nel 2019, al Festival [2] delle conoscenze di Novi Ligure, ammoniva gli studenti contro i pericoli della disinformazione: «È uno strumento per imporsi ai danni di qualcun altro» e le «bugie più efficaci» sono quelle «accompagnate da un’offensiva mediatica. Aiutano a identificare il nemico per creare situazione di consenso all’interno del quale poter agire». Nulla di diverso da quanto egli stesso ha praticato, lanciando accuse infondate contro Francesca Albanese, in assenza di contraddittorio e senza la solidità di prove. La libertà di critica non si esercita nella menzogna così come il giornalismo non si fonda su rivendicazioni d’autorità, ma sulla cura nell’esprimere giudizi e sulla trasparenza delle fonti. In mancanza di ciò, non è l’Ordine a silenziare la critica, ma l’inaffidabilità stessa del discorso pubblico che legittima interventi disciplinari.