Continua la protesta dei cittadini francesi contro le politiche di austerità, dopo gli scioperi [1] e le mobilitazioni che si erano già svolti il mese scorso con il movimento “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”), in seguito alla caduta del governo di François Bayrou. Ieri migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in oltre 200 città per esprimere il proprio dissenso contro i tagli alla spesa pubblica, per chiedere l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile e un aumento delle tasse sui redditi più alti. Secondo la CGT (Confederazione generale dei sindacati), hanno preso parte alle proteste circa 600.000 persone, mentre secondo il ministero dell’Interno, fino a mezzogiorno circa 85.000 persone avevano protestato in tutto il Paese, segnando un calo di oltre la metà rispetto alla partecipazione agli scioperi di settembre. «Dobbiamo porre fine una volta per tutte a tutti i sacrifici richiesti ai lavoratori e indicati nella proposta di bilancio», ha dichiarato [2] a BFM TV Sophie Binet, segretaria generale della CGT.
Secondo il sindacato CGT, si sono svolte proteste in più di 240 località in tutta la Francia, tra cui Digione, Metz, Poitiers e Montpellier. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha dispiegato 76.000 agenti, di cui cinquemila a Parigi, avvertendo che «non saranno tollerati eccessi» e che i facinorosi saranno «immediatamente consegnati alla giustizia». A Bordeaux e Montpellier gli studenti hanno bloccato alcuni licei, mentre in alcune fabbriche si sono verificati scioperi: a Valenciennes i manifestanti hanno impedito l’accesso allo stabilimento Stellantis, mentre azioni di protesta hanno colpito anche Michelin e Thales. Anche la Tour Eiffel, monumento simbolo di Parigi, è rimasta chiusa, in quanto la società di gestione Sete ha votato a larga maggioranza per l’adesione allo sciopero.
Da parte sua, Sebastien Lecornu, quinto primo ministro di Macron in due anni, ha promesso un bilancio che garantisca maggiore «equità fiscale». Per ora restano però escluse alcune richieste chiave dei sindacati come una tassa sui grandi patrimoni e l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile. Proprio oggi Lecornu ha annunciato che non avrebbe usato l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare il bilancio. Tale articolo consente la votazione di un testo senza votazione, ossia senza dibattito parlamentare ed è stato utilizzato per approvare tutti i bilanci dalla rielezione di Emmanuel Macron nel 2022. Poiché la base comune (blocco di destra e centro) non dispone della maggioranza nell’Assemblea, questa decisione del Primo Ministro aumenta di fatto il potere del Parlamento, secondo quanto riferito [3] dal giornale francese Le Figaro.
Il nuovo governo francese si ritrova a dover affrontare, da una parte, il malcontento dei cittadini che chiedono la fine dell’austerità e, dall’altra, un Parlamento che concorda sulla necessità di ridurre il deficit di bilancio, ma non su come farlo. Nel 2024 il deficit di bilancio francese ha raggiunto il 5,8% del Pil (Prodotto interno lordo), vale a dire quasi il doppio del limite del 3% previsto dai parametri di Maastricht. Ciò significa che i francesi non si stanno ribellando solo contro i primi ministri del presidente Emmanuel Macron, ma contro gli stessi parametri europei e la sua impalcatura economico improntata all’austerità che non ha fatto altro che aumentare la povertà nelle nazioni europee.
Lo scorso 8 settembre, l’ex primo ministro François Bayrou, è stato sfiduciato [4] dal parlamento proprio a causa del suo piano di bilancio lacrime e sangue, pensato per fare risparmiare alle casse statali quasi 44 miliardi di euro. È proprio l’austerità di Bayrou che ha innescato le ampie proteste verificatesi a settembre e che stanno proseguendo anche questo mese. La crisi in cui versa la politica francese evidenzia la distanza presente tra i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni durante “l’era Macron” e la popolazione, ma anche la profonda debolezza che attraversa la democrazia francese, in particolare, e in generale buona parte delle cosiddette democrazie liberali, subordinate ai poteri finanziari e ai diktat delle istituzioni comunitarie europee e, di conseguenza, incapaci di dare risposte concrete alle esigenze dei cittadini.