Mercoledì sera, poco dopo che la Global Sumud Flotilla [1] è stata intercettata dalla marina militare israeliana, le piazze europee si sono animate da cortei e manifestazioni di solidarietà. In tutte le principali piazze, la popolazione ha dato il via a cortei spontanei per chiedere di intervenire contro l’aggressione di Israele alle imbarcazioni che portano aiuti umanitari a Gaza, oltre che di porre fine alla complicità con il governo di Tel Aviv e la fine del genocidio nella Striscia. Tuttavia, ad ora, quasi nessuno tra i governanti europei ha profferito parola su quanto sta accadendo.
Le proteste non sono state pianificate o promosse da forze politiche dominanti, ma si sono generate dal basso, spinte dalle notizie dell’abbordaggio navale. In città come Roma, Parigi, Berlino, Madrid, Atene e Bruxelles decine di migliaia di cittadini hanno marciato, acceso fiaccole o presidiato davanti ad ambasciate, chiedendo che non venga ignorato il dramma della Striscia assediata. A Parigi i manifestanti si sono radunati in Place de la République chiedendo la liberazione degli equipaggi delle navi abbordate dalle forze israeliane; a Berlino la stazione centrale è stata circondata con lo slogan “Free Palestine” su vasta scala; a Bruxelles un corteo ha occupato Place de la Bourse. A Barcellona e Istanbul si sono segnalate massicce proteste davanti ai consolati israeliani; nella capitale turca altri manifestanti hanno marciato davanti al consolato degli USA. In Italia, la cronaca racconta di 35 città mobilitate simultaneamente, con una partecipazione eterogenea che ha unito studenti, sindacati di base e famiglie con presidi e manifestazioni.
A Milano il Pirellone è stato illuminato con la scritta “Free Gaza” e i cortei sono partiti da Piazza della Scala verso Cadorna, con occupazione di binari ferroviari in segno di protesta. A Bologna il corteo ha raggiunto la Prefettura per chiedere le dimissioni del governo; a Roma i manifestanti hanno affollato la zona di Termini per avvicinarsi a Palazzo Chigi. A Napoli attivisti e studenti del Collettivo autorganizzato universitario hanno occupato i binari della stazione Centrale, causando il blocco momentaneo del traffico ferroviario in arrivo e in partenza. Lasciata la stazione, il corteo di manifestanti si è diretto verso la facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II a Porta di Massa. Manifestanti anche a Torino, dove l’ingresso centrale della stazione ferroviaria di Porta Nuova è stato chiuso, per cercare di evitare eventuali blocchi; occupata la Facoltà umanistica di Palazzo Nuovo. Circa 500 manifestanti hanno occupato i binari della stazione ferroviaria di Pisa. Ad Ancona sono attivi presidi fissi organizzati dal Coordinamento Marche per la Palestina nel quartiere Archi. Cortei anche a Palermo, Genova, Firenze, La Spezia, Livorno, Lodi, Siena, Padova Trieste, Forlì: “Siamo pronti a bloccare tutto”, è il messaggio dei giovani di Cambiare Rotta e dei collettivi. Il fatto è che l’azione navale non è un episodio isolato: è il segnale che il confronto sul Mediterraneo è divenuto diretto, e che la missione della Flotilla è vista come una sfida politica e simbolica. Il carattere della missione non lascia spazio a definizioni semplicistiche: il convoglio ha l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco israeliano su Gaza e consegnare aiuti vitali. Già nei giorni scorsi alcune imbarcazioni avevano denunciato attacchi tramite droni o sistemi di disturbo delle comunicazioni.
Eppure, il salto tra le piazze e le istituzioni appare smisurato. I governi europei, benché sollecitati dalle proteste, mantengono un’imbarazzante prudenza diplomatica. A Copenaghen i leader UE, impegnati a dare “ampio sostegno” al muro anti-droni e al prestito all’Ucraina con soldi russi, non hanno espresso commenti sull’accaduto. In Italia, la gestione dell’ordine pubblico è stata affidata alle forze di polizia, senza dichiarazioni né prese di posizione chiare. A livello centrale, l’esecutivo ha adottato un silenzio assordante sulle manifestazioni di sostegno alla Flotilla, preferendo toni blandamente diplomatici e a tratti contraddittori sull’abbordaggio. Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto sapere che è stato in contatto con il Ministro degli Esteri israeliano Sa’ar in merito all’assistenza dei cittadini italiani a bordo della Flotilla, in stato di fermo da parte della Marina israeliana, senza spendere parole per le manifestazioni. Il vicepremier ha voluto spendere parole positive per Tel Aviv, evidenziando che gli abbordaggi «sono stati pacifici e senza violenze e preparati da numerose misure di avvicinamento, partendo dalla nave madre Alma», mentre su X [2]si è limitato a postare le immagini del primo corridoio universitario da Gaza. La premier Giorgia Meloni, da Copenaghen per il vertice informale del Consiglio europeo, ha criticato la missione: «In questa fase, di fronte a una possibilità che sarebbe storica, insistere in una iniziativa che ha dei margini di pericolosità e di irresponsabilità», insinuando il dubbio che «forse le sofferenze del popolo palestinese» non siano la «priorità». Nel mezzo della crisi internazionale, la premier italiana ha optato su X per un messaggio [3] di auguri a “tutti i nonni d’Italia”, postando una foto con la nonna. Solamente dopo, alle 10.30 del mattino (quando l’aggressione israeliana è ormai in corso da oltre 12 ore), ha commentato [4] brevemente i fatti ribadendo la propria contrarietà alla missione. Silenzio anche dal ministro dei trasporti, Matteo Salvini [5], che sta valutando la precettazione dello sciopero generale proclamato per venerdì 3 ottobre da CGIL, USB e altre sigle sindacali. Fuori dall’Italia, il premier svedese Ulf Kristersson ha intimato all’attivista Greta Thunberg, sua concittadina, di «tornare a casa». In Spagna, il premier Pedro Sánchez ha chiesto che Israele non consideri la missione una “minaccia”, ribadendo che si tratterebbe di un’azione umanitaria. Tali dichiarazioni restano, però, isolate e prive di conseguenze operative tangibili, mentre a livello interazionale diversi governi, dalla Turchia alla Colombia [6] – accusano Israele di un “atto terrorismo” contro la Flotilla. In questo contesto, il silenzio dei leader europei, che si limitano ad appelli alla moderazione, risulta tanto più greve: a fronte di mobilitazioni transnazionali – centinaia di migliaia di persone che chiedono il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale – le cancellerie rispondono con toni neutri, ambigui o deleganti. Il vuoto politico che si spalanca espone i governi europei a un’accusa implicita: quella di complicità per omissione. Le piazze continueranno a chiedere che il silenzio non sia il nascondiglio delle responsabilità.