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Tilly Norwood, la “marionetta” IA che spaventa gli attori

In occasione dello Zurich Summit 2025, costola imprenditoriale dello Zurich Film Festival, ha fatto la sua comparsa un nuovo, giovanissimo volto: quello di Tilly Norwood. L’“attrice” è stata presentata come il progetto di debutto di Xicoia, realtà nata come spin-off dello studio di produzione Particle6 con l’obiettivo di creare nuovi talenti pronti a tutto. Talenti, però, interamente virtuali: la scuderia dell’azienda è infatti composta esclusivamente da “star digitali iperrealistiche” generate tramite intelligenza artificiale. Secondo Eline Van der Velden, fondatrice e CEO di Xicoia, gli agenti interessati a firmare contratti con Tilly sono già numerosi, tuttavia, mentre a Zurigo si celebrava il debutto, a Hollywood la notizia ha scatenato le accese proteste del mondo attoriale.

“Per essere chiari, ‘Tilly Norwood’ non è un’attrice, è un personaggio generato da un programma di computer che è stato addestrato sul lavoro di innumerevoli attori  professionisti – senza permesso né compenso –, non ha esperienze di vita da cui attingere, nessuna emozione”, lamenta una dichiarazione [1]firmata da SAG-AFTRA, noto sindacato degli attori hollywoodiani. In un certo senso, Xicoia [2]vuole porre rimedio proprio a questa mancanza: i suoi avatar vengono progettati come “personalità” capaci di “coesistere all’interno di una narrativa coerente”, con storie preconfezionate che si arricchiscono man mano che vengono impiegati sul campo.

Resta da chiedersi: il sistema proprietario fornito dall’azienda, DeepFame, è davvero in grado di competere con gli attori del grande schermo? Non esattamente. Per ora gli avatar di Xicoia trovano applicazione soprattutto in pubblicità, podcast e contenuti social, ambiti già ampiamente popolati da simulacri [3]digitali che sono adatti a mascherare i limiti ancora evidenti dell’IA generativa, la quale fatica soprattutto su produzioni lunghe e complesse. L’innovazione proposta dall’azienda sembra dunque puntare più sul piano del marketing e della gestione coordinata di più avatar, piuttosto che su un autentico salto tecnologico. Anche perché dietro a ogni “talento” digitale continuerà ad esserci una struttura ibrida che prevede la supervisione di uno staff in carne e ossa.

Sul fronte cinematografico, Xicoia propone piuttosto una diversa varietà di servizi: dal ringiovanimento virtuale al “restauro digitale” di attori defunti. Tuttavia, la recente polemica sviluppatasi attorno [4] al film The Brutalist mostra chiaramente quanto pubblico e critica siano pronti a contestare l’uso dell’IA anche quando il suo ruolo è limitato a interventi di doppiaggio, previa approvazione dei professionisti coinvolti. È dunque plausibile che le grandi produzioni hollywoodiane esiteranno, almeno per ora, a normalizzare definitivamente quella che si potrebbe definire una forma di negromanzia algoritmica, continuando a relegare queste opportunità tecniche a casi limite.

Se il grande cinema può ancora dormire sonni relativamente tranquilli, lo stesso non si può dire per gli attori meno noti: molti di loro sopravvivono proprio grazie a quel sottobosco pubblicitario che Xicoia mira a presidiare e dominare grazie al supporto di operatori invisibili. In risposta alle legittime preoccupazioni dei performer di Hollywood, Van der Velden ha pubblicato un comunicato [5] in cui esplicita che l’IA “non sostituisce le persone”. A suo dire si tratta semplicemente di un nuovo strumento che, “come l’animazione, il marionettismo e la computer grafica”, apre nuove strade per la creatività umana. In questa logica, Tilly Norwood non viene dunque descritta come un’attrice, bensì come “un’opera d’arte”.

Avatar photo

Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.