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«Malato e affaticato»: i media tornano a speculare sulla salute di Putin

Da anni, con cadenza quasi ciclica, la stampa occidentale torna a speculare sulle presunte condizioni di salute di Vladimir Putin. Non importa che le voci siano state smentite ripetutamente dal Cremlino o che nessuna prova concreta sia mai emersa: il mito di “Putin malato [1]” resta una delle narrazioni più amate dai media mainstream. Negli ultimi giorni, testate come il Corriere della Sera, Il Messaggero e Tgcom24 hanno rilanciato per l’ennesima volta teorie che oscillano dal cancro al Parkinson, passando per tremori sospetti, problemi di vista e gonfiori del volto, basandosi su immagini decontestualizzate o su presunte testimonianze. I “nuovi” dubbi sono emersi alla parata militare del 3 settembre a Pechino, dove Massimo D’Alema, presente all’evento, ha raccontato al Corriere della Sera [2] di aver visto Putin «molto affaticato», sorretto da due persone durante la camminata. Il racconto di D’Alema ha spianato la strada alle nuove speculazioni sulle condizioni fisiche di Putin che, per i media citati, «restano avvolte nel mistero». Non si tratta di una novità. Tutto ha avuto inizio dieci anni fa, quando proprio nel 2015, il leader russo non apparve in pubblico per qualche giorno e molti giornali ipotizzarono che fosse stato ucciso. Poco dopo, i media occidentali si sbizzarrirono a diagnosticare a Putin dei disturbi mentali, in un caso la sindrome di Asperger, in altri casi la paranoia, riportando con enfasi la diceria secondo cui Angela Merkel lo avrebbe definito “psicopatico”. Da allora, la stampa occidentale alterna accuse di crimini efferati e omicidi su commissione a diagnosi improvvisate.

Già nel 2021 il tabloid britannico The Sun [3] titolava che Putin stesse per lasciare il potere a causa del Parkinson, citando come unica fonte l’analista russo Valery Solovei, noto oppositore del Cremlino. La notizia, priva di conferme, fece il giro del mondo e venne prontamente bollata come “totale assurdità” dal portavoce Dmitrij Peskov. Nel 2022, il media indipendente Proekt, riportò che i documenti di viaggio degli aerei di Putin rilevavano a bordo quasi sempre un oncologo e due otorinolaringoiatri. Nello stesso anno, un’inchiesta di Newsweek parlò di un’operazione per rimuovere un tumore già in stadio avanzato, avvenuta proprio ad aprile 2022. Da allora, la stessa dinamica si ripete senza sosta: giornali che riprendono illazioni, dichiarazioni di presunti esperti che diagnosticano a distanza, immagini usate come indizi di malattie inesistenti. L’obiettivo non è informare, ma alimentare un “frame”: il leader russo non sarebbe lucido, non avrebbe il pieno controllo delle sue decisioni e, quindi, la sua politica andrebbe ridimensionata come frutto di follia o patologia. È la logica della demonizzazione, la “character assassination”, che sostituisce l’analisi geopolitica con la psicopatologia spicciola. Con l’inizio del conflitto russo-ucraino, il meccanismo si è intensificato. Non solo cancro e Parkinson: Putin è stato definito “paranoico”, affetto da “narcisismo maligno”, persino vittima del Long Covid. La giornalista scientifica e Premio Pulitzer Laurie Garrett sostiene che Putin potrebbe essere «incapace di ragionare, forse per gli effetti del Long Covid [4]». Secondo Garrett, il presidente russo mostrerebbe i sintomi della sindrome d’onnipotenza tipicamente associati alla perdita di contatto con la realtà e all’incapacità di soppesare i rischi e, per spiegare questo stato di follia, la giornalista ha tirato in ballo il cosiddetto “brain fog”  – una sorta di annebbiamento cerebrale associata agli effetti del Long Covid – che  potrebbe aver compromesso le sue funzioni cognitive. Il Council on [5]Foreign [5] Relations [5] (CFR) ha parlato di un leader “spento” e “sfasato”, mentre altri analisti hanno scomodato la “teoria del pazzo [4]” nelle relazioni internazionali per spiegare la sua strategia. Queste diagnosi a distanza non hanno alcun valore scientifico: si tratta di indiscrezioni e pettegolezzi che vengono ripresi senza alcun fondamento. Nessuno dei commentatori che si sono lanciati in simili affermazioni ha mai avuto accesso diretto a cartelle cliniche o a visite mediche ufficiali. Eppure, i media le riportano come se fossero dati di fatto, costruendo un’eco che dà l’impressione di veridicità.

È lo stesso schema con cui, negli anni, si sono attribuite malattie inesistenti ad altri leader “scomodi” per l’Occidente: da Fidel Castro a Hugo Chávez, fino a Yasser Arafat. Il filo rosso è evidente: non discutere la politica estera russa o le ragioni storiche del conflitto russo-ucraino, ma ridurre tutto a una questione personale, di un uomo isolato e malato che trama di conquistare l’Europa “fino al Portogallo”. Una strategia che sposta il discorso dal piano politico a quello clinico. Perché questa narrazione continua a essere rilanciata, nonostante le smentite e l’assenza di prove? Per due motivi principali. Da un lato, il “Putin malato” è una storia che vende: cattura l’attenzione del lettore, semplifica la complessità della geopolitica in un racconto quasi romanzesco. Dall’altro, rafforza la costruzione di un nemico delegittimato, instabile e, quindi, meno credibile agli occhi dell’opinione pubblica occidentale. Nel 2002, un articolo per Il Corriere della sera si domandava se la guerra scatenata contro l’Ucraina fosse «una mossa coerente di un leader razionale o l’azzardo di uno zar impazzito, offuscato dalla paranoia o dai farmaci necessari alla cura delle sue patologie?». In realtà, non possiamo conoscere con certezza le condizioni di salute del presidente russo, così come non possiamo sapere oggi quali saranno i suoi prossimi passi politici, ma ciò che è certo è che le speculazioni mediatiche hanno poco a che vedere con l’informazione e molto, semmai, con la propaganda. Ogni tremolio o smorfia diventa indizio, ogni apparizione pubblica occasione per stilare nuove diagnosi, in una sorta di reality show globale che poco ha a che fare con il giornalismo e molto con la costruzione di una narrazione funzionale agli interessi geopolitici occidentali.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.