- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

I MAGA si spaccano su Israele, Tucker Carlson contro Trump: “controllato da Netanyahu”

Nel panorama instabile della destra americana, il fronte MAGA (Make America Great Again) mostra crepe fino a poco tempo fa impensabili. Dopo i malumori per l’insabbiamento del caso Epstein [1] e le giravolte [2] presidenziali, l’ultima scossa interna è arrivata da Tucker Carlson, figura storica del conservatorismo mediatico che, ospite nel podcast “System Update [3]” del giornalista e Premio Pulitzer Glenn Greenwald, ha rotto gli indugi e ha accusato il presidente Donald Trump di essere “controllato da Netanyahu”, insinuando che il premier israeliano eserciti un’influenza indebita sulla politica statunitense. L’ex conduttore di Fox News ha rimproverato Trump per aver abbracciato decisioni filoisraeliane che, a suo giudizio, tradiscono il principio di “America First” e ha dichiarato: «Bibi [Netanyahu, ndr] se ne va in giro – questo è un fatto, non sto tirando a indovinare, perché ho parlato con persone a cui lo ha detto – se ne va in giro per il Medio Oriente, nella sua regione, nel suo stesso Paese e dice alla gente senza mezzi termini, lo afferma chiaramente: “Io controllo gli Stati Uniti. Io controllo Donald Trump”». Carlson ha chiarito che il suo attacco era rivolto più ai vertici del governo del proprio Paese che a Israele. Secondo lui, i leader statunitensi vengono sottoposti a un “rito di umiliazione” nel loro sostegno a Israele che da americano, non riesce e “sopportare”.

Le sue accuse sono rimbalzate sui social che hanno amplificato l’impressione di una frattura ormai aperta con la Casa Bianca. La reazione nella base MAGA è stata immediata. Alcuni esponenti [4] fedeli a Trump hanno denunciato Carlson come un “traditore”, mentre commentatori vicini a correnti più “non interventiste”, insofferenti al sionismo che soffoca ed eterodirige le politiche americane, hanno accolto le sue parole con favore, giudicandole un richiamo al realismo strategico. Il dibattito ha acquistato connotati personali quando Netanyahu stesso è intervenuto durante una conversazione [5] con il commentatore politico di destra indiano-americano, Dinesh D’Souza per rispondere direttamente alle accuse, definendole “false e irresponsabili”. Dopo aver difeso il suo Paese («Siamo la Silicon Valley in Medio Oriente, una società democratica di fronte a enormi attacchi da parte di Paesi che vogliono annientarci ogni giorno»), il premier israeliano ha ribadito la propria legittima autonomia e ha respinto qualsiasi insinuazione di manipolazione politica degli Stati Uniti. Netanyahu ha poi proseguito rivolgendosi direttamente a Carlson: «Chi sta difendendo Tucker Carlson? Sono persone che gridano “Morte all’America!”» e ha concluso spiegando che «Il presidente Donald J. Trump è il più grande amico che Israele abbia mai avuto. Capisce che stiamo combattendo un nemico comune. L’Iran vuole distruggervi. Noi gli ostacoliamo la strada. Sono molto orgoglioso del fatto che Israele sia in prima linea in questa battaglia di civiltà contro la barbarie che minaccia tutte le società libere». La veemenza delle parole di Netanyahu non ha spento le tensioni: al contrario, ha trasformato la polemica in uno scontro di leadership all’interno del MAGA. Alle tensioni personali si somma un confronto sui princìpi politici. Carlson ha argomentato che il coinvolgimento statunitense nelle operazioni in Medio Oriente, favorito da Trump, è stato eccessivo e controproducente: un’adesione quasi automatica alle richieste israeliane che ha esposto gli Stati Uniti a rischi strategici. In un recente discorso, ha ricordato la figura di Charlie Kirk, sostenendo che l’influencer conservatore era “scioccato” dall’uso che Netanyahu faceva dell’influenza americana per guidare il suo piano di espansione. Le sue affermazioni sono state giudicate da molti come evocazioni di teorie cospirative sul potere ebraico, dando adito ad accuse di antisemitismo. Le contestazioni si sono acuite quando, durante la commemorazione funebre per celebrare Kirk, Carlson [6] ha evocato immagini che alcuni hanno letto come antisemite [6], parlando di uomini in una «stanza illuminata da lampade che mangiano hummus» mentre complottano. Le accuse non sono rimaste confinate ai media, ma il nodo centrale resta la reinterpretazione del progetto “America First” che Trump incarna. Carlson sostiene che il tycoon abbia tradito quella visione accettando una subordinazione implicita alle strategie israeliane e alle lobby sioniste. Altri esponenti della base MAGA, come Marjorie Taylor Greene e Matt Gaetz mostrano una maggiore avversione all’ingerenza militare statunitense in Medio Oriente, riscoprendo istanze “non interventiste” che Trump aveva cavalcato a corrente alternata.

Ora, quella stessa base che ha sostenuto il Presidente americano, ora si divide: da un lato quanti interpretano l’alleanza con Israele come un pilastro dell’identità conservatrice, dall’altro quanti ritengono che la priorità nazionale imponga autonomia di giudizio dalle pressioni estere e condannano la ferocia del governo Netanyahu. In questo contesto, la posizione di Carlson assume una portata simbolica: non è solo uno sfogo di un giornalista deluso dalle politiche intraprese da Washington, ma una dichiarazione di dissenso che mette in crisi l’unità ideologica del movimento. Quella che sembrava una coalizione monolitica deve fare i conti con la complessità di una destra che non è più un blocco uniforme, ma un campo di tensioni interne e contraddizioni che oggi emergono con chiarezza inattesa. Trump aveva già rigettato le accuse di Carlson come “infondate” all’indomani dell’attacco all’Iran: il presidente USA aveva riaffermato di essere lui stesso l’artefice del concetto “America First”, dunque, il solo interprete legittimo del suo significato e aveva sottolineato che la lotta all’Iran – strettamente connessa al conflitto israelo-iraniano – è nei «veri interessi americani», difendendo la scelta di sostenere le operazioni israeliane. Il dibattito, tuttavia, ha ormai varcato la sfera delle alleanze strategiche ed è diventato un banco di prova per l’identità futura del MAGA e del conservatorismo americano. Le divisioni che emergono e che si sono acuite anche per il caso Epstein, investono non solo i singoli rapporti personali, ma le fondamenta del consenso. Se Trump vuole mantenere il controllo del movimento, dovrà conciliare due anime che guardano al mondo con lenti diverse: chi crede nell’alleanza incondizionata con Israele e chi, più scettico, ritiene che l’America non debba essere subordinata a interessi altrui. Carlson ha gettato il guanto di sfida sul tavolo pubblico: la leadership MAGA dovrà gestirlo o rischiare una spaccatura irreparabile.

Avatar photo

Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.