Mentre manca sempre meno all’inizio dei Giochi Olimpici invernali del 2026, l’immagine di Milano-Cortina si offusca sotto il peso di due ulteriori vicende opache emerse negli ultimi giorni. Da un lato, gli appalti per le infrastrutture risultano segnati dalla presenza di un’impresa, la Bracchi srl di Valdisotto, esclusa da una gara regionale perché coinvolta in un’inchiesta per corruzione, ma ancora al lavoro come subappaltatrice in due cantieri cruciali di Simico. Dall’altro, i nuovi trampolini della Val di Fiemme, appena testati, sono già al centro di polemiche internazionali dopo tre gravi infortuni in 48 ore occorsi ad atlete di altissimo livello, facendo temere per la sicurezza degli impianti. Un binomio di ambiguità gestionale e potenziali rischi che getta una lunga ombra sulla preparazione dell’evento, già segnato da scandali giudiziari, ritardi operativi e lievitazione dei costi.
Il caso che scuote la governance degli appalti olimpici ha un nome: Bracchi srl. A fine aprile, la società era stata esclusa con determina dal direttore generale di Aria, Lorenzo Gubian, da un appalto da 13 milioni per l’impianto di innevamento di Bormio, dal momento che non aveva comunicato l’inchiesta “Recharge” che a marzo era costata gli arresti domiciliari al titolare, Enrico Davide Bracchi, con accuse di corruzione, peculato e falso. Eppure, come risulta dal portale ufficiale [1] di Simico, responsabile delle opere sportive e stradali contenute nel Piano Olimpico, la stessa Bracchi risulta oggi subappaltatrice per la costruzione del sistema di innevamento della pista Stelvio (appalto da 20 milioni) e per i lavori di riqualificazione delle aree limitrofe (1,2 milioni). Un paradosso denunciato in Parlamento dal deputato Tino Magni (Verdi-Sinistra), che evidenzia come la normativa sui contratti pubblici, sebbene rigorosa per gli appaltatori principali, mostri una pericolosa lacuna nei controlli sui subappaltatori.
Sul fronte sportivo, la “prova generale” in Val di Fiemme si è trasformata in un incubo. Tre atlete di vertice mondiale – l’austriaca Eva Pinkelnig [2], la canadese Alexandria Loutitt [3] e la giapponese Haruka Kasai [4] – hanno riportato gravi infortuni ai legamenti del ginocchio in cadute sui nuovi trampolini. Le dinamiche degli incidenti, sebbene differenti, hanno scatenato le critiche della stampa internazionale e portato al ritiro in blocco delle squadre austriaca e canadese dalle ultime prove. Un gesto assai eloquente, che potrebbe essere seguito a breve dalla squadra della Polonia. Se i tecnici internazionali assolvono i profili costruttivi, standardizzati dalla Federazione, e attribuiscono le cadute a errori umani, il sospetto che i nuovi impianti possano nascondere criticità è ormai un’ipotesi concreta che richiederà accertamenti approfonditi. Quelli del trampolino sono solo gli ultimi problemi registrati dall’organizzazione dell’evento sportivo: l’ultimo aveva riguardato la cabinovia di Cortina, che lo scorso 4 settembre è sprofondata nel terreno aprendo una voragine di 15 metri di lunghezza.
L’intreccio tra opacità negli appalti, ritardi infrastrutturali e dubbi sulla sicurezza degli impianti sportivi dipinge un quadro allarmante per Milano-Cortina 2026, al centro di aspre polemiche sul tema degli sprechi e della mala gestione. Ad agosto, la Camera dei Deputati aveva dato il via libera definitivo al Decreto Sport, che ha incluso anche le norme volte a coprire i buchi di bilancio della Fondazione Milano-Cortina per le Olimpiadi invernali 2026. Il decreto ha stanziato [5] infatti 328 milioni di euro alla istituzione di un nuovo Commissario per le Paralimpiadi, che avrebbe il compito di «subentrare nei rapporti giuridici della Fondazione». Una formulazione che appare come una scusa per scorporare parte dei costi, dal momento che le Paralimpiadi erano già presenti nel Comitato. Inoltre, l’esecutivo ha deciso di destinare [6] al finanziamento dei Giochi ben 43 milioni di euro provenienti dal Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di mafia, usura e agli orfani di femminicidio.
Lo scorso aprile la Procura di Milano ha chiesto di archiviare l’inchiesta sulla Fondazione organizzatrice, in cui si contestavano reati di corruzione e turbativa d’asta, ma ha sollevato [7] la questione di costituzionalità sul decreto del governo che, trasformandola in ente privato, avrebbe ostacolato intercettazioni e sequestri preventivi di un presunto profitto di reato di circa 4 milioni. Il tutto non considerando un buco milionario generato dalla Fondazione: in un contesto già segnato da deficit patrimoniali accumulati dalla Fondazione – oltre 107 milioni – la stima dei costi è infatti lievitata di ulteriori 180-270 milioni.