«Abbiamo preso posizione come enti pubblici per chiedere di non far transitare i due container dal terminal. Abbiamo scritto una Pec come Comune, Provincia e Regione e, pochi minuti fa, Sapir ci ha comunicato che non avrebbe aperto i cancelli del porto all’arrivo dei mezzi». È il primo pomeriggio di giovedì quando il sindaco di Ravenna, Alessandro Barattoni, convoca una conferenza stampa d’urgenza per annunciare [1]il blocco di un carico di munizioni diretto a Israele che, per l’ennesima volta, stava per transitare dal porto cittadino. Si tratta di due container provenienti dalla Repubblica Ceca, classificati 1.4, cioè materiale esplosivo, che dopo aver oltrepassato il confine dall’Austria stavano per essere caricati sulla nave Zim New Zealand con destinazione Haifa: lo stesso percorso effettuato [2]il 30 giugno scorso e probabilmente in numerose altre occasioni.
In questo caso però l’intervento congiunto delle istituzioni locali è stato decisivo: i container non hanno potuto essere imbarcati e hanno dovuto lasciare via terra lo scalo romagnolo. Una decisione arrivata all’indomani delle forti proteste [3] che martedì avevano portato migliaia di persone a sfilare lungo le banchine del porto chiedendo lo stop all’invio di armi a Israele. A segnalare la presenza del carico erano stati, anche questa volta, alcuni lavoratori del porto. Appresa la notizia, il sindaco Barattoni, la presidente della Provincia Valentina Palli e il presidente della Regione Michele De Pascale hanno inviato a Sapir, la società che gestisce lo scalo, una comunicazione formale in qualità di azionisti chiedendo di non consentire l’operazione di carico, sottolineando che la conferma della spedizione avrebbe destato gravissime preoccupazioni per il contesto del conflitto in corso a Gaza, in cui ogni giorno muoiono civili innocenti. Da lì la decisione dell’azienda di non aprire i cancelli ai mezzi provenienti dall’Austria, evitando così che i container finissero a bordo della nave diretta in Israele.
Appresa la notizia, sia il sindaco che il presidente della Regione hanno manifestato la loro soddisfazione sui social: «Ho appena ricevuto comunicazione che i due camion portacontainer hanno lasciato il nostro porto. Grazie a tutti coloro che hanno contribuito a questo risultato» ha scritto Alessandro Barattoni. «In Emilia-Romagna sappiamo da che parte stare: con le vittime innocenti e gli ostaggi, mai con i governi criminali e le organizzazioni terroristiche» ha aggiunto Michele De Pascale.

In realtà le istituzioni locali avrebbero potuto fare molto di più per monitorare il transito di armi dal porto di Ravenna, da cui numerosi container diretti in Israele hanno continuato a partire anche dopo il 7 ottobre 2023. Proprio dai lavoratori del porto arrivano le denunce più circostanziate: gli operai raccontano di aver visto passare container di munizioni destinate alle Forze di Difesa Israeliane, caricati su grandi portacontainer dirette a Haifa e Ashdod, quasi sempre navi della compagnia israeliana ZIM. Il tutto, come è emerso dall’accesso agli atti effettuato il 30 giugno, senza le necessarie autorizzazioni per far viaggiare materiale bellico fuori dall’Unione Europea. «Comune e Regione sono tra gli azionisti principali di Sapir, il principale operatore del porto – ha spiegato all’Indipendente Carlo Tombola di Weapon Watch, tra i primi a raccogliere le segnalazioni dei portuali – e quindi avrebbero potuto controllare e far sentire la loro voce già mesi fa su quello che accadeva nello scalo romagnolo, peraltro l’unico scalo internazionale della regione». La manifestazione di martedì e le dichiarazioni [5]dell’Onu hanno sicuramente smosso le acque: «Prima erano violazioni della legalità, adesso siamo al livello di complicità in un genocidio» aggiunge Tombola.
Sul caso è intervenuto [6]anche Antonio Tajani, incalzato in Senato dal Movimento 5 Stelle: «Io non so nulla di quello che è successo e comunque non sono armi italiane», ha dichiarato con disarmante serenità il ministro degli Esteri. Parole che lasciano più di un brivido, se si considera che la legge 185 [7] del 1990 stabilisce con chiarezza che tutte le esportazioni, importazioni e persino i semplici transiti di armamenti devono essere autorizzati e controllati dal Governo. Eppure, il titolare della Farnesina sembra ritenere l’ignoranza un alibi più che sufficiente. Una linea difensiva che, se non fosse tragica, sarebbe comica.
Insomma, ancora una volta sono i movimenti dal basso, quelli dei cittadini che manifestano e degli operai che bloccano i container, ad obbligare la politica a prendere posizione. L’episodio di Ravenna lascia però aperto un filo di speranza: che il controllo dei traffici di armi non resti un affare oscuro relegato alle carte di dogana, ma diventi questione di trasparenza pubblica, di responsabilità politica e di coscienza collettiva.