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La Commissione UE approva sanzioni cosmetiche contro Israele: niente contro armi e colonie

Dopo due anni di genocidio in Palestina, 65 mila morti accertati (che potrebbero diventare centinaia di migliaia, una volta rimosse le macerie di Gaza), oltre 420 persone morte di fame, milioni di sfollati e infiniti appelli della società civile, la Commissione Europea mette sul tavolo il primo pacchetto di sanzioni contro lo Stato di Israele. Lo fa probabilmente più per accontentare la popolazione civile, stanca dell’inazione dei governi di fronte al più grande massacro in diretta streaming della storia, che per imporre effettive ritorsioni contro Tel Aviv. Nel pacchetto non vi è infatti nulla che possa effettivamente fermare il genocidio o l’occupazione illegale dei territori in Cisgiordania: nessuna misura contro il commercio di armi, né contro la collaborazione di aziende e università europee nei progetti di ricerca a scopi finti civili (ma in realtà usati per sorvegliare e colpire i palestinesi) da parte dello Stato sionista.

Tra le misure [1] proposte dalla Commissione vi è innanzitutto la sospensione del trattamento di favore concesso a Israele nelle relazioni commerciali e definito nel quadro dell’Association Agreement tra UE e Israele. Se la proposta verrà approvata, saranno dunque applicati dazi doganali pari a quelli applicati a qualsiasi altro Paese terzo con il quale l’UE non abbia accordi di libero scambio. Ciò, scrive la Commissione, inciderà sulle dotazioni annuali tra il 2025 e il 2027, oltre che sui progetti di cooperazione istituzionale in corso e sui progetti finanziati nell’ambito della cooperazione regionale. Nel 2024 le importazioni dell’UE da Israele sono ammontate a 15,9 miliardi le esportazioni a 26,7 miliardi, rendendo l’UE il principale partner commerciale di Tel Aviv. Secondo quanto riferito da membri della commissione a Reuters, Israele vedrà l’imposizione di dazi su circa 5,8 miliardi di euro di merci, pari ad appena 227 milioni all’anno di tasse.

L’imposizione deriva dal fatto che l’UE ha rilevato violazioni, da parte di Israele, dell’art. 2 dell’Accordo [2], che lo vincola al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici. «In particolare, tale violazione si riferisce al rapido deterioramento della situazione umanitaria a Gaza a seguito dell’intervento militare di Israele, al blocco degli aiuti umanitari, all’intensificarsi delle operazioni militari e alla decisione delle autorità israeliane di portare avanti il piano di insediamento nella cosiddetta zona E1 della Cisgiordania, che compromette ulteriormente la soluzione dei due Stati», riporta il documento della Commissione. La decisione, per essere resa effettiva, dovrà superare la votazione degli Stati con una maggioranza qualificata. Ad ogni modo, della sospensione del commercio di armi o di materiale militare nemmeno l’ombra.

La Commissione propone poi sanzioni contro Hamas, «coloni violenti» e «ministri estremisti» del governo israeliano, ovvero Itamar Ben-Gvir (ministro della Sicurezza nazionale) e Bezalel Smotrich (ministro delle Finanze). La decisione, che per diventare effettiva dovrà essere approvata dal Consiglio all’unanimità, segue la decisione di Israele di bloccare gli aiuti umanitari (ormai in vigore da sei mesi) e «dei continui bombardamenti, delle operazioni militari, degli sfollamenti di massa e del collasso dei servizi di base» (iniziati l’8 ottobre 2023). Vi sono infatti indicazioni dell’Alto Rappresentante degli Affari Esteri UE, infatti, secondo le quali così facendo Israele violerebbe «diritti umani e principi democratici». Una «grave violazione», sottolinea la Commissione.

Per poter diventare effettive le due misure dovranno ottenere rispettivamente la maggioranza qualificata e la maggioranza assoluta tra gli Stati membri. Un traguardo che pare difficile, se non impossibile da raggiungere, considerato che difficilmente Paesi come l’Italia, la Germania e l’Ungheria daranno il proprio via libera. Ad ogni modo, si tratta di misure che hanno più un valore politico che altro, dal momento che non si traducono in un effettivo ostacolo per l’economia di occupazione e di genocidio dello Stato. Ma a due anni dall’inizio del massacro della popolazione civile, è comunque, finalmente, qualcosa di concreto.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.