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C’è un indizio sull’esistenza di un’atmosfera simile alla Terra su un pianeta distante

Un pianeta delle dimensioni della Terra, situato nella cosiddetta zona abitabile e a soli 40 anni luce di distanza, potrebbe aver conservato un’atmosfera significativamente simile alla nostra: lo rivelano due studi frutto di un ampio progetto internazionale, sottoposti a revisione paritaria e pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. Utilizzando lo spettrometro del James Webb Telescope (JWST), gli autori hanno osservato che su TRAPPIST-1e, uno dei sette pianeti che orbitano attorno a una nana rossa nella costellazione dell’Acquario, potrebbe persino esserci acqua liquida. In particolare, spiegano gli autori, sono stati esclusi diversi scenari fondamentali come quelli riguardanti atmosfere simili a quelle di Marte e Venere, il che rende l’ipotesi coerente e tutt’altro che impensabile: «TRAPPIST-1e rimane uno dei pianeti abitabili più interessanti per noi, e questi nuovi risultati ci avvicinano di un passo alla comprensione di che tipo di mondo si tratti», commenta Sara Seager del Massachussets Institute of Technology (MIT).

Rappresentazione artistica di TRAPPIST 1e mentre passa davanti alla sua stella ospite. Credit: NASA, ESA, CSA, J. Olmsted (STScI)

Gli astronomi sono interessati a TRAPPIST-1e perché rappresenta uno dei migliori candidati per lo studio dell’abitabilità al di fuori del sistema solare. In particolare, per “zona abitabile” si intende la regione attorno a una stella in cui un pianeta potrebbe mantenere acqua liquida sulla superficie, condizione ritenuta essenziale per la vita come la conosciamo. Per capire però se un esopianeta in questa posizione sia effettivamente abitabile occorre verificare se abbia un’atmosfera e di che tipo, e per questo si usa la spettroscopia di trasmissione, ovvero una tecnica che analizza la luce della stella mentre filtra attraverso l’eventuale atmosfera del pianeta durante il transito: ogni molecola lascia una “firma” inconfondibile nello spettro luminoso. Il JWST, spiegano gli autori, è risultato quindi fondamentale e ha portato un salto di qualità rispetto al telescopio Hubble, grazie a una copertura più ampia delle lunghezze d’onda e a una risoluzione superiore che consente di cercare tracce di molecole come l’anidride carbonica o il metano. Tuttavia, la vicinanza del pianeta a una nana rossa molto attiva complica le analisi, in quanto eventuali macchie stellari e brillamenti alterano la luce e rischiano di mascherare o imitare i segnali atmosferici. Per questo i ricercatori hanno dovuto sviluppare nuovi metodi avanzati – come la spettroscopia di trasmissione, confronto tra transiti diversi e correzione della contaminazione stellare – per distinguere la parte di segnale che proviene dalla stella da quella attribuibile al pianeta.

Un confronto tra i mondi di TRAPPIST-1 e il Sistema Solare, incluse dimensioni, densità e radiazioni. Credit: NASA/JPL Caltech

In particolare, dopo aver confrontato [1] i risultati [2] con diversi scenari atmosferici, i dati hanno permesso di escludere sia atmosfere dominate dall’idrogeno sia quelle ricche di anidride carbonica come su Marte o Venere. Rimane invece possibile un involucro più denso, composto in gran parte da azoto e arricchito da tracce di altri gas, uno scenario che consentirebbe la presenza di acqua liquida. «Se ipotizziamo che il pianeta non sia privo di aria, possiamo limitare diversi scenari atmosferici», spiega [3] la prima autrice Ana Glidden del MIT, aggiungendo che «questi scenari consentono comunque la possibilità di un oceano superficiale». «Stiamo osservando due possibili spiegazioni», aggiunge Ryan MacDonald dell’Università di St Andrews: «la più interessante è che TRAPPIST-1e possa avere un’atmosfera secondaria contenente gas pesanti come l’azoto, ma non possiamo ancora escludere totalmente un pianeta roccioso privo di atmosfera».

Per arrivare a una risposta definitiva, quindi, serviranno altre osservazioni. I team internazionali coinvolti hanno già in programma di portare il numero di transiti osservati da quattro a quasi venti nei prossimi anni, così da affinare i dati e ridurre l’effetto della contaminazione stellare. Con ogni transito aggiuntivo, spiegano, la chiarezza dei segnali atmosferici migliorerà: «Abbiamo finalmente il telescopio e gli strumenti per cercare condizioni abitabili in altri sistemi stellari, e questo rende il nostro tempo uno dei più entusiasmanti per l’astronomia», conclude [4] MacDonald.

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Roberto Demaio

Laureato al Dipartimento di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia e giornalista iscritto all'Ordine. È tra i più giovani in Italia con tale doppio titolo. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.