La tensione tra il governo israeliano e il capo delle Forze di Difesa Israeliane Eyal Zamir è sempre più alta e sta finendo per erodere il già precario rapporto tra Netanyahu e l’esercito. Zamir, che si era già opposto al piano di invasione di Gaza City, sta infatti premendo perché il governo accetti un cessate il fuoco temporaneo per fare respirare l’esercito e recuperare gli ostaggi, ma le sue richieste non stanno venendo ascoltate. Il governo, anzi, ha deciso di proseguire con la mobilitazione dei 60mila riservisti chiamati a fine agosto, mentre l’insofferenza dei soldati avanza, spingendo sempre più militari a disertare. La perdita di presa sull’esercito sta gradualmente portando la campagna genocidaria israeliana al collasso: l’operazione Carri di Gedeone è «un fallimento», e Israele «ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare», recita infatti un dossier segreto delle IDF; Hamas, di contro, mostra di avere la capacità di rimanere solida nonostante le perdite, e sta riuscendo a «sopravvivere e vincere».
I segni di rottura tra Netanyahu e l’esercito sono diversi. Lunedì 1° settembre, il quotidiano israeliano Ynet [1] ha rilasciato delle indiscrezioni su un incontro del gabinetto di sicurezza, in cui Zamir avrebbe proposto un piano alternativo per la prosecuzione della campagna a Gaza. Zamir aveva già contestato il piano di occupazione [2] totale di Gaza City, sostenendo che fosse troppo rischioso per gli ostaggi e troppo sfiancante per l’esercito. Ancora oggi, a due settimane dal suo lancio, continua a premere sul governo per abbandonare il piano e muovere piuttosto incursioni mirate sulle zone più calde della Striscia. Zamir, inoltre, avrebbe avanzato un piano di cessate il fuoco di 60 giorni per fare rientrare gli ostaggi. L’accordo in discussione, riportano i media israeliani, prevedrebbe il rilascio di 10 ostaggi vivi e dei corpi di altri 18, mentre intanto verrebbero portati avanti colloqui sulla fine della guerra e la liberazione degli ostaggi rimasti. Netanyahu avrebbe boicottato la proposta di Zamir, non facendola nemmeno arrivare ai voti.
Tra le scintille con il capo dell’esercito, il governo insiste con il piano di occupazione di Gaza che prevedrebbe lo spostamento in massa dei palestinesi verso sud. Per portarlo avanti, ha mobilitato 60mila riservisti, che stanno venendo schierati proprio in questi giorni. La maggior parte delle persone mobilitate, sostiene il quotidiano israeliano Haaretz [3], avrebbe già prestato servizio per centinaia di giorni dall’escalation del 7 ottobre, e sarebbe tenuta a garantire la propria presenza per altri tre mesi, con la possibilità di un’estensione di un mese in base all’evoluzione dei combattimenti nella Striscia. Tra le persone chiamate, continua il quotidiano, vige ormai un generale sentimento di sconforto: in molti non si fiderebbero dei piani dichiarati del governo e altrettanti starebbero descrivendo tale rotazione come la più dura degli ultimi due anni. Haaretz [4] riporta che circa 350 soldati avrebbero deciso di schierarsi apertamente contro la campagna a Gaza, disertando la chiamata, e che in generale il numero di volontari nelle IDF starebbe diminuendo, tanto che l’esercito starebbe occultando i numeri esatti per manipolare i dati e minimizzare l’impatto mediatico dell’assenteismo.
Di fronte a tale scenario di crisi, non stupisce il contenuto del rapporto segreto delle IDF, condiviso dall’emittente israeliana Channel 12 [5]. «Abbiamo fallito», si legge nel dossier; «Israele ha fatto ogni possibile errore conducendo una campagna contraria alla sua dottrina di guerra». Il riferimento è all’operazione Carri di Gedeone [6], lanciata lo scorso giugno, con la quale lo Stato ebraico intendeva distruggere completamente Hamas e fare rientrare gli ostaggi: eppure, «Hamas non è stata sconfitta né militarmente né politicamente e gli ostaggi non sono stati restituiti né con un accordo né con un’operazione». Tra i motivi del fallimento, si legge nel piano, la scarsa pianificazione dei combattimenti, l’assenza di discussioni per raggiungere un accordo, la gestione degli aiuti umanitari. Sul campo, le IDF sostengono di avere agito senza un chiaro cronoprogramma, basando le proprie azioni su vantaggi immediati piuttosto che inserendole in una visione a lungo termine; non hanno pianificato attacchi mirati, hanno invaso aree già attaccate in passato, non sono state capaci di gestire le proprie risorse e sono state sopraffatte troppe volte dalle firme di resistenza. Hamas, di contro, «presenta tutte le condizioni per sopravvivere e vincere: risorse, una dimensione sicura, e un metodo di combattimento adeguato».
Dopo la pubblicazione del documento, le IDF hanno commentato che «questi contenuti sono stati distribuiti senza autorizzazione e senza l’approvazione delle parti interessate», difendendo i risultati raggiunti, e confermando indirettamente la paternità dei fogli. Nonostante quanto dicano le IDF, il dossier parla chiaro: lo stesso esercito israeliano è conscio del fatto che la campagna militare a Gaza non sta andando come sperato; su stessa ammissione delle IDF, l’obiettivo di distruggere completamente Hamas appare ancora oggi inverosimile, mentre Israele ha perso completamente credibilità davanti alla comunità internazionale.