Per decenni, la comunità scientifica ha associato l’idea di abitabilità planetaria alla presenza di acqua liquida, in quanto senza di essa la vita come la conosciamo non poteva esistere. Tuttavia, esiste un altro tipo di fluido, detto “liquido ionico”, che potrebbe formarsi anche sulla superficie di pianeti rocciosi e fungere da ambiente adatto allo sviluppo di processi vitali: è quanto dettagliato in un nuovo studio condotto da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT), sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences. Il tutto, spiegano gli autori, è stato scoperto inaspettatamente: gli scienziati stavano studiando particolari reazioni chimiche che riprodurrebbero alcuni meccanismi delle nubi di Venere, quando hanno scoperto che alcune composizioni produrrebbero proprio tale liquido, compatibile con alcuni processi vitali. «Consideriamo l’acqua necessaria per la vita perché è ciò di cui abbiamo bisogno sulla Terra», spiega la coautrice Rachana Agrawal, aggiungendo che «se includiamo il liquido ionico come possibilità, questo può aumentare drasticamente la zona di abitabilità per tutti i mondi rocciosi».
La ricerca [1], spiegano gli autori, si inserisce in un contesto in rapido sviluppo: con l’avvento di telescopi sempre più potenti, il numero di esopianeti noti è cresciuto a migliaia, ma gran parte di essi si trova in condizioni ritenute inospitali per l’acqua liquida. Finora, infatti, la definizione classica di abitabilità si è basata quasi esclusivamente su pianeti simili alla Terra – con oceani stabili e un’atmosfera protettiva – anche se, tuttavia, altri scenari presenti nel nostro stesso Sistema solare mostrano che i liquidi possono assumere forme diverse: lune ghiacciate come Europa sembrano custodire oceani sotterranei di acqua salata, mentre su Titano si osservano laghi di metano ed etano. Anche Venere offre un esempio inedito, con dense nubi di acido solforico che hanno spinto diversi ricercatori a ipotizzare forme di vita nelle sue atmosfere più temperate. In questo quadro, quindi, i liquidi ionici – che rimangono allo stato liquido a temperature e pressioni dove l’acqua non può esistere – aprirebbero una nuova strada. Proprio per le loro proprietà, tali sostanze risultano candidati ideali a ospitare reazioni biochimiche – ossia l’insieme di processi chimici su cui si fonda la vita – in ambienti fino a oggi esclusi dalle mappe dell’abitabilità.

In particolare, il lavoro del MIT è nato nello studio delle nubi di Venere e dei metodi per analizzarne la composizione, ma ha portato a una scoperta inattesa: gli scienziati hanno osservato che, quando l’acido solforico interagisce con molecole organiche contenenti azoto, come l’amminoacido glicina, si formano stabilmente gocce di liquido ionico, persistenti anche in condizioni di calore e bassa pressione. Ulteriori esperimenti hanno poi mostrato che la reazione si verifica non solo con la glicina, ma con decine di composti differenti, inclusi frammenti di DNA e zuccheri, e che può avvenire persino su superfici rocciose simili al basalto. I risultati, quindi, indicano che questi liquidi si formano in un ampio intervallo di temperature, fino a circa 180 gradi Celsius, e in pressioni molto più basse di quelle terrestri. «Eravamo semplicemente stupiti che il liquido ionico si formasse in così tante condizioni diverse», commentano i coautori, sottolineando che persino piccoli depositi di materiale organico potrebbero dare origine a minuscole sacche liquide su mondi privi d’acqua. Tali oasi, spiegano i ricercatori, potrebbero resistere per anni o millenni e offrire un ambiente stabile a biomolecole come le proteine, anche se il passo successivo sarà testare se e quali ingredienti essenziali per la vita possano effettivamente sopravvivere e prosperare in questi fluidi. «Abbiamo appena scoperchiato il vaso di Pandora di nuove ricerche», afferma la coautrice Sara Seager, aggiungendo che se confermata, questa ipotesi allargherebbe in modo decisivo la definizione di mondo abitabile, spostando la frontiera della vita possibile ben oltre il confine dell’acqua.