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Scoperto uno dei buchi neri più grandi di sempre: ha 36 miliardi di volte la massa del sole

Ha una massa pari a 36,6 miliardi di volte quella del sole, dista 5 miliardi di anni luce dalla Terra ed è talmente grande da avvicinarsi al limite massimo teorico previsto per l’Universo: è il buco nero individuato al centro della galassia SDSS J1148+1930, conosciuta come “Ferro di Cavallo Cosmico”. Lo rivela un nuovo studio scientifico guidato da un team internazionale, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Effettuando misurazioni considerate fra le più affidabili mai ottenute per un oggetto di questo tipo, gli autori hanno stabilito che sicuramente si tratta di uno dei dieci buchi neri più massicci mai scoperti e, con ogni probabilità, potrebbe essere il più grande in assoluto. «La maggior parte delle altre misurazioni della massa dei buchi neri sono indirette e presentano incertezze piuttosto elevate, quindi non sappiamo con certezza quale sia il più grande. Tuttavia, grazie al nostro nuovo metodo, abbiamo una certezza molto maggiore sulla massa di questo buco nero», commenta l’astrofisico Thomas Collett, aggiungendo che risultati simili potrebbero cambiare il modo in cui comprendiamo la crescita di queste enormi strutture cosmiche.

Illustrazione che spiega l’effetto “lente gravitazionale”. Credit: NASA, ESA

I buchi neri più grandi conosciuti, spiegano [1] gli esperti, superano i dieci miliardi di masse solari e si trovano nei nuclei di galassie molto massicce. Fino a oggi, valori ancora più estremi erano stati attribuiti ad alcuni quasar distanti, come TON 618, la cui stima iniziale di 66 miliardi di masse solari è stata poi rivista a circa 40 miliardi. Tali calcoli si basano però su metodi indiretti e molto incerti, legati alla radiazione emessa dal materiale in caduta verso il buco nero. La nuova misura del “Ferro di Cavallo Cosmico”, invece, è diversa: qui si è usata una combinazione di lente gravitazionale e cinematica stellare. La lente gravitazionale si verifica quando la massa di una galassia curva lo spazio-tempo e devia la luce di un oggetto più lontano, creando immagini distorte o anelli luminosi. La cinematica stellare, invece, analizza la velocità delle stelle che orbitano intorno al centro galattico e, nel caso studiato, sono stati rilevati circa 400 km/s, segno di un’enorme concentrazione di massa centrale. L’unione dei due metodi, quindi, ha permesso di ottenere [2] una stima più diretta e affidabile, anche per un buco nero “dormiente” che non sta attivamente accumulando materia e quindi non emette radiazione intensa.

Un’immagine del Ferro di Cavallo Cosmico, ma con la coppia di immagini di una seconda sorgente di sfondo evidenziata. La debole immagine centrale si forma vicino al buco nero, ed è ciò che ha reso possibile la nuova scoperta. Credit: NASA/ESA/Tian Li (Università di Portsmouth)

In particolare, il sistema del “Ferro di Cavallo Cosmico” è stato scoperto nel 2007 e presenta un caratteristico anello luminoso dovuto alla lente gravitazionale, prodotto dall’allineamento tra la galassia in primo piano e una sorgente luminosa più distante. Analizzando l’arco radiale creato da questo fenomeno e le osservazioni raccolte negli anni, i ricercatori hanno ricostruito con precisione la distribuzione di massa nella galassia ospite, identificando così il buco nero ultramassiccio. Secondo gli autori, i buchi neri supermassicci delle galassie originarie si sarebbero fusi a loro volta, dando origine all’oggetto da 36 miliardi di masse solari che vediamo oggi: «È probabile che tutti i buchi neri supermassicci che originariamente si trovavano nelle galassie compagne si siano ora fusi per formare il buco nero ultramassiccio che abbiamo rilevato. Stiamo quindi osservando lo stadio finale della formazione delle galassie e lo stadio finale della formazione dei buchi neri», commenta Collett, aggiungendo che comprendere oggetti così estremi è cruciale per studiare i limiti fisici della crescita dei buchi neri e il loro ruolo nell’evoluzione delle galassie. Ora che i ricercatori hanno capito che questo metodo funziona per i buchi neri, sperano di utilizzare i dati del telescopio spaziale Euclid dell’Agenzia spaziale europea per rilevare altri buchi neri supermassicci e i loro ospiti, così da comprendere meglio come i buchi neri impediscono alle galassie di formare stelle.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Giornalista e Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.