Nonostate i recenti, fragili accordi di pace siglati tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda prima e alle trattative per un cessate il fuoco tra Kinshasa e milizie del M23 poi, i massacri di civili non si sono mai fermati. Organizzazioni internazionali parlano di centinaia di persone uccise nel solo mese di agosto per mano della milizia ribelle M23 e dei militari ruandesi ma anche di altri gruppi armati, ognuno mosso dai propri interessi all’interno di una delle regioni più instabili al mondo.
Il 27 giugno a Washington, alla presenza del Segretario di Stato americano Marco Rubio, i Ministri degli Esteri di Ruanda e Repubblica Democratica del Congo (RDC) hanno siglato un accordo di pace che prevedeva il ritiro delle forze ruandesi, la cessazione del sostegno a gruppi armati da parte di entrambe le nazioni, la facilitazione del loro disarmo e integrazione, e il rispetto della sovranità reciproca. Un accordo che è stato voluto dalla presidenza Trump, con il secondo fine di accaparrarsi dei contratti vantaggiosi per lo sfruttamento delle miniere della RDC in cambio di accordi volti a mantenere la sicurezza della regione. Rimaneva però un problema, l’accordo di Washington lasciava fuori dai partecipanti la milizia M23 che, con il sostegno del Ruanda, da gennaio ha conquistato e iniziato ad amministrare una consistente parte delle regioni orientali della RDC. Ma [1] anche su questo punto la strada verso una soluzione pacifica sembrava essere stata intrapresa a Doha, dove una delegazione di Kinshasa si era seduta al tavolo con i rappresentanti della milizia ribelle. Il 19 luglio le due delegazioni hanno siglato, nella capitale qatariota, una Dichiarazione di Principi, che aveva come punto cardine un cessate il fuoco incondizionato, per arrivare al 18 agosto con un’accordo definitivo per porre la parola fine a una situazione di instabilità e guerra iniziata con il genocidio ruandese del 1994.

Il 18 agosto però la delegazione della milizia ribelle non si è presentata al tavolo delle trattative in Qatar. Sul profilo X del portavoce dell’M23/AFC (Alleanza del fiume Congo) si legge [2] che «Il regime di Kinshasa, in un insolente disprezzo della Dichiarazione di Principi di Doha, continua a lanciare attacchi criminali sistematici contro zone densamente popolate». Il supposto non rispetto del cessate il fuoco da parte dell’esercito congolese e delle milizie ad esso legate ha spinto i rappresentanti della milizia a non presentarsi al tavolo delle trattative. Ma anche su altro punto della Dichiarazione di Principi si sono create divergenze tra le parti, quello riguardante il rilascio dei prigionieri da parte di Kinshasa. Il governo congolese si è rifiutato di dare seguito alla scarcerazione dei detenuti chiesta dall’M23, considerata una delle “misure di fiducia” contenute nell’accordo, fino a quando non sarà stato siglata un’intesa definitiva e rigira l’accusa di non aver rispettato il cessate il fuoco alla milizia ribelle.
Accuse sostenute dal report [3] di Human Rights Watch (HRW) pubblicato il 20 agosto, in cui si parla di quasi 400 uccisioni per mano dei miliziani dell’M23 e delle truppe dell’esercito ruandese, avvenute tra il 9 luglio e l’8 agosto. «Le uccisioni di massa – si legge nel documento di HRW – sembrano far parte di una campagna militare contro gruppi armati oppositori, in particolare le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato composto in gran parte da hutu ruandesi, creato dai partecipanti al genocidio del 1994 in Ruanda». Grazie alle interviste condotte da HRW e alle testimonianze dei funzionari ONU sul campo, nel documento della ONG vengono raccontate le esecuzioni sommarie di civili in almeno 14 villaggi e viene sottolineata l’appartenenza della maggioranza delle vittime all’etnia Hutu, fatto che «solleva gravi preoccupazioni di pulizia etnica nel territorio di Rutshuru». Il 6 agosto invece era stato un documento [4] dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a muovere accuse, all’M23 e all’esercito ruandese, di uccisioni di massa in 4 villaggi sempre nella zona di Rutshuru, nella regione del Nord Kivu sotto il controllo dell’AFC/M23.
Nel report delle Nazioni Unite si parla anche di altri gruppi armati coinvolti nell’uccisione di civili, come il CODECO (Coopérative pour le développement du Congo) alleata alle Forze armate congolesi e le Allied Democratic Forces (ADF), formazione legata all’Isis. I due gruppi armati si sono macchiati dell’uccisione di almeno 100 civili, secondo quanto riporta l’ONU. La risposta della milizia M23 alle accuse non si è fatta attendere. Il 21 agosto in un comunicato [5] dell’AFC i ribelli negano le accuse e incolpano HRW di «falsificare le notizie» e di «essere uno strumento di propaganda del regime di Kinshasa». Non è mancata anche la risposta di Kigali che ha negato le accuse contenute nel report dell’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, definendole «gratuite e sensazionaliste» e ribadendo il fatto che il Ruanda non controlla la milizia ribelle, al contrario di quanto emerso da diverse indagini internazionali.
Nonostante le tensioni che hanno portato alla diserzione dell’incontro di lunedì 18 agosto e alla situazione che rimane tragica sul campo, domenica 17 un funzionario qatariota ha dichiarato [6] all’agenzia AFP che «è stata proposta una bozza di accordo di pace alle due parti» ribadendo che, anche se le tempistiche concordate il 19 luglio non sono state rispettate, «entrambe le parti hanno espresso la volontà di proseguire i negoziati». Parole che suonano come un eccesso di fiducia in un processo di pace molto complicato e che mostrano la convinzione del Qatar nel raggiungere un accordo tra le parti. Una certezza mossa dalle mire politico economiche dell’emirato che, come molte delle monarchie del Golfo, sta cercando la sua posizione nello scacchiere africano. Se da una parte Washington stringe accordi con Kinshasa, prendendone le parti, dall’altra il Qatar ha importanti asset in Ruanda dove sta finanziando la costruzione di un aeroporto multimiliardario e sta contrattando per l’acquisizione del 49% della compagnia aerea nazionale ruandese. Interessi che, come ben sanno sia a Washington che a Doha, sono più facilmente perseguibili in un contesto di pace, quanto meno apparente. Se l’accordo di Doha non ha portato il tanto sperato cessate il fuoco, quello di Washington non ha portato né il ritiro delle truppe ruandesi, né la fine dell’appoggio a gruppi armati, entrambi obiettivi dell’intesa siglata il 27 giugno.

E mentre le parti in lotta si scambiano rapporti e accuse, sul campo la popolazione si trova tra l’incudine e il martello, continuando a soffrire senza soluzione di fine. Una situazione di completa incertezza ben rappresentata dal report [7] pubblicato il 20 agosto da Amnesty International che titola : I gruppi armati rivali hanno hanno un nemico in comune, i civili. Nel documento di Amnesty si racconta, tramite testimonianze dal campo, le violenze subite dai civili per mano dell’M23, ma anche della milizia Wazalendo e dell’esercito congolese. Si parla di stupri, uccisioni sommarie e reclutamento forzato. Lo sconvolgimento di Voker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, rispetto agli «attacchi contro i civili da parte dell’M23 e di altri gruppi armati nella RDC orientale, nonostante il cessate il fuoco», non basta a far funzionare gli accordi presi tra le parti. I ragionamenti e gli sforzi dei mediatori per raggiungere una pace duratura rimangono miopi davanti a una situazione sul campo molto più complicata di quello che vogliono dipingere: con più di 120 gruppi armati presenti, ognuno con propri interessi e appoggiati da diverse potenze nazionali e sovranazionali. Una circostanza che più volte, nella tragica storia della regione, si è ripetuta con accordi mai veramente rispettati e con interessi che vanno ben oltre la pace e le sofferenze della popolazione civile. Mentre il mondo e i governanti si vantano di aiutare la fine della tragedia, gli stessi alimentano la violenza e l’instabilità per accaparrarsi più risorse possibili, una storia già vista e rivista e che affonda le sue radici nel colonialismo ottocentesco, in una mentalità razzista ancora molto viva per la quale 10.000.000 di morti e 8.000.000 di sfollati, se congolesi hanno meno importanza dei meri interessi economici.