A Pieve del Grappa, un piccolo Comune in provincia di Treviso, la costruzione di una grande antenna 5G ha scatenato le proteste dei residenti. La comparsa del cantiere, avviato lo scorso primo agosto, ha rappresentato un colpo basso per la cittadinanza, che ha scoperto l’intervento solo a lavori già iniziati, senza alcuna comunicazione preventiva. L’impianto, alto 29 metri, è stato progettato in una zona densamente popolata, a pochi passi da scuole e residenze familiari. Preoccupati per i possibili rischi per la salute, i cittadini si sono organizzati nel “Comitato Antenna Pieve del Grappa”, chiedendo la sospensione immediata dei lavori e una valutazione pubblica sull’impatto ambientale e sanitario dell’opera.
La costruzione di una antenna 5G in via Montenero a Crespano del Grappa, iniziata il 1° agosto 2025, ha scatenato una mobilitazione cittadina contro l’impianto. La società Cellnex, operante nel settore delle telecomunicazioni, ha ottenuto il permesso di installare una stazione radio base (SRB) per potenziare la rete mobile in una zona che, pur non mancando di copertura per la telefonia, è carente nella velocità di trasmissione dei dati. Accertata l’indisponibilità di suoli pubblici idonei, la società ha trovato un accordo con un privato in via Montenero per l’installazione su suo terreno. La Conferenza dei Servizi, convocata dal Comune, ha raccolto pareri positivi da tutti gli enti competenti, ovvero Arpav, Soprintendenza e Contarina. Il SUAP (Sportello Unico per le Attività Produttive), avendo «accertato il rispetto di tutte le regole», ha quindi concesso l’autorizzazione il 29 maggio 2025. Così, poco più di due mesi dopo, sono iniziati i lavori.
Il punto cruciale della protesta risiede nel fatto che questo intervento, seppur legalmente autorizzato, è stato condotto senza che la popolazione residente fosse informata o coinvolta in alcuna fase del processo decisionale, nonostante l’alto impatto paesaggistico e la prossimità delle abitazioni all’antenna in costruzione. I cittadini, costituitisi in comitato, contestano non solo il metodo ma anche il merito, chiedendo la rilocalizzazione dell’infrastruttura in un’area meno impattante. «Siamo fermamente convinti che un apparecchio che genera forti campi elettromagnetici a poca distanza dalle case in cui vivono anche bambini o adolescenti sia assolutamente da evitare, e siamo altresì convinti che un’opera simile vada a penalizzare gli immobili e i terreni adiacenti che potrebbero subire una svalutazione economica considerevole – hanno scritto i residenti in una nota [1] subito dopo avere scoperto il cantiere –. Crediamo inoltre che in zona siano presenti aree e siti con impatto minore dal punto di vista paesaggistico, lontane dalle abitazioni, più adatte ad una simile installazione». I consiglieri di opposizione hanno presentato un’interrogazione sul tema, chiedendo [2] al sindaco di fornire la cronistoria del procedimento e l’iter seguito dagli uffici comunali al fine di rilasciare l’autorizzazione, l’apertura di un tavolo di confronto tecnico-partecipativo con la cittadinanza e l’eventuale sospensione dei lavori ove ne ricorressero i presupposti.
La disputa si inserisce in un quadro normativo nazionale che limita fortemente il potere di intervento degli enti locali. La Legge Gasparri del 2004 e il recente innalzamento dei limiti elettromagnetici a 15 V/m (L. 214/2023 [3]) hanno infatti centralizzato le autorizzazioni, riducendo gli spazi di manovra dei Comuni. Tuttavia, alcuni enti locali come Comano Terme e Roncade sono riusciti a ottenere risultati favorevoli ricorrendo al TAR o avviando trattative, dimostrando che una via di opposizione, seppur complessa, esiste. Nel frattempo, il comitato prende di mira anche la prima cittadina del Comune, Annalisa Rampin. «La Sindaca ha incontrato la cittadinanza, spiegando inizialmente di non poter intervenire sulla questione; successivamente, a fronte della crescente pressione dei cittadini, ha dichiarato, in via informale, di aver preso contatti con la ditta responsabile dell’impianto, annunciando possibili trattative e rassicurando che i lavori si sarebbero interrotti dopo la gettata di cemento – hanno scritto in un comunicato [1] i cittadini, riunitisi in un comitato –. Ad oggi, però, tali impegni non hanno trovato riscontro nei fatti: i lavori non solo non si sono fermati, ma stanno proseguendo anche con l’installazione degli impianti». Una circostanza che, proseguono i membri del gruppo, «aumenta la sfiducia dei residenti e la determinazione del comitato a chiedere con forza chiarezza, trasparenza e rispetto per la comunità». La crescente indignazione ha portato a una raccolta firme sfociata finora in oltre 300 sottoscrizioni.
Ampliando lo sguardo sullo scenario italiano, si può constatare come, tre anni dopo l’avvio del Piano Italia 5G, la promessa di una connessione ultraveloce per tutti si è scontrata con la realtà: sulla base dei dati diramati a luglio, a un anno dalla scadenza fissata dal PNRR, è infatti stato completato solo il 38,63% delle aree da coprire. I cantieri si muovono [4] al rallentatore tra contenziosi legali e un braccio di ferro tra Inwit, cui è stato affidato il progetto, e i Comuni sul canone d’affitto per le antenne. In molte regioni si diffondono progressivamente le proteste dei comitati e delle associazioni. Lo scorso settembre, la Regione Toscana ha inoltre avviato un’indagine incentrata sui potenziali effetti dei campi elettromagnetici prodotti dalle nuove antenne 5G, commissionandola all’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpat) e all’Agenzia regionale di Sanità (Ars) della Toscana. In particolare, l’analisi si propone di indagare se e in quale misura tali impianti possano rappresentare un rischio per la salute, con particolare riguardo all’incidenza di malattie come i tumori.