L’ONU ha dichiarato oggi ufficialmente la carestia a Gaza attraverso la Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (Integrated Food Security Phase Classification – IPC), un organismo sostenuto dalle stesse Nazioni Unite che si occupa di monitorare i livelli di fame nel mondo. L’IPC ha dichiarato che 514.000 persone, ovvero circa un quarto dei palestinesi di Gaza, stanno soffrendo di grave malnutrizione. Tra queste, 280.000 si trovano nella regione settentrionale di Gaza City, dichiarata in stato di carestia. Si tratta della prima dichiarazione di questo tipo relativa all’enclave palestinese. Perché un’area venga classificata in stato di carestia, almeno il 20% della popolazione deve soffrire di gravi carenze alimentari, con un bambino su tre affetto da malnutrizione acuta e due persone su 10.000 che muoiono ogni giorno di fame, malnutrizione e malattie. Parallelamente un’inchiesta indipendente ha rivelato che la percentuale di vittime civili a Gaza è di gran lunga superiore rispetto a quella dei militanti legati alle sigle islamiche come Hamas o la Jihad islamica.
L’inchiesta [1], condotta congiuntamente dal media The Guardian, dalla rivista israelo-palestinese +972 Magazine e dal quotidiano in lingua ebraica Local Call ha messo in evidenza [2] come cinque palestinesi su sei uccisi dall’esercito israeliano a Gaza fossero civili. Si tratta di dati tratti da un database classificato dell’intelligence militare israeliana. A maggio, secondo le autorità sanitarie di Gaza, 53.000 palestinesi erano stati uccisi dagli attacchi israeliani, un numero che comprendeva sia combattenti che civili. Sempre a maggio, i funzionari dell’intelligence dello Stato ebraico avevano segnalato 8.900 miliziani di Hamas e della Jihad islamica come morti o «probabilmente morti», secondo quanto emerso dall’indagine. Ciò significa che i combattenti rappresentano solo il 17% delle vittime totali, mentre il restante 83% è costituito da civili. Si tratta di un rapporto estremamente sbilanciato, tanto da superare anche quello di conflitti molto cruenti, come la guerra in Siria o in Sudan. Contattato per un commento da Local Call e +972 Magazine – entrambi media israeliani – l’esercito dello Stato ebraico non ha smentito l’esistenza del database né la validità dei dati rispetto alle morti dei militanti palestinesi. Tuttavia, contattati dal Guardian – come riferisce lo stesso quotidiano britannico – i rappresentanti delle forze israeliane hanno di fatto negato che i dati fossero corretti, senza ulteriori specificazioni.
Secondo quanto riportato da Local Call, anche l’esercito israeliano ritiene attendibile il bilancio delle vittime del ministero della Salute di Gaza, nonostante i politici israeliani facciano passare tali numeri come propaganda. Tuttavia, il numero dei morti è quasi sicuramente sottostimato, in quanto il Ministero della Salute di Gaza elenca solo le persone i cui corpi sono stati recuperati, non le migliaia sepolte sotto le macerie. Secondo alcune testimonianze dirette, inoltre, Israele aumenta il numero delle vittime di militanti di Hamas per bilanciare il numero delle vittime civili all’interno dei documenti. A confermare la falsificazione dei numeri è stato il generale in pensione Itzhak Brik, ex consigliere del primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio della guerra, ora tra i suoi critici più accaniti. «Non c’è assolutamente alcuna correlazione tra i numeri annunciati e ciò che sta realmente accadendo. È solo un grande bluff», ha affermato. Secondo i dati dell’Uppsala Conflict Data Program [3], che monitora le vittime civili in tutto il mondo, rispetto alla situazione a Gaza, i civili hanno costituito una percentuale maggiore di morti solo a Srebrenica (non nella guerra in Bosnia nel suo complesso), nel genocidio ruandese e durante l’assedio russo di Mariupol nel 2022.
Oggi è arrivata anche la conferma dello stato di carestia a Gaza, dopo che Gran Bretagna, Canada, Australia e molti altri Stati europei hanno dichiarato che la crisi umanitaria ha raggiunto «livelli inimmaginabili», senza tuttavia fare nulla di concreto per fermare Israele. Alcuni Stati, anzi, continuano a inviare armi allo Stato ebraico. L’IPC ha sottolineato che l’analisi pubblicata oggi riguarda solo le persone residenti nei governatorati di Gaza, Deir al-Balah e Khan Younis. Non è stato possibile, invece, controllare le condizioni e classificare il governatorato di Gaza settentrionale a causa delle restrizioni di accesso e della mancanza di dati, e ha escluso qualsiasi popolazione rimanente nella regione meridionale di Rafah, in quanto in gran parte disabitata. Precedentemente, l’IPC ha riscontrato lo stato di carestia anche in alcune zone della Somalia nel 2011, nel Sud Sudan nel 2017 e nel 2020 e nel Sudan nel 2024. L’unica differenza è che a Gaza l’eccidio della popolazione civile avviene con il coinvolgimento diretto di diverse potenze occidentali.