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Olbia: un uomo è morto di arresto cardiaco dopo essere stato colpito col taser dai carabinieri

Nella serata dello scorso 16 agosto, i Carabinieri intervengono nel centro di Olbia. Un uomo, Gianpaolo Demartis, 57 anni e sotto l’effetto di droghe, sta «manifestando ostilità» contro i passanti. Gli agenti, per fermarlo, lo colpiscono con un taser, la pistola elettrica in dotazione alle forze dell’ordine. Poco dopo, l’uomo morirà a bordo dell’ambulanza intervenuta in suo soccorso a causa di un arresto cardiaco. Il fatto costituisce solamente l’ultimo di una lunga serie di episodi simili che, come già [1] sottolineato da Amnesty, riportano al centro del dibattito «interrogativi gravi e urgenti» circa le modalità di impiego da parte delle forze dell’ordine del taser, arma che, ad oggi, viene ancora considerata non letale. 

Il Sindacato Indipendente dei Carabinieri (SIC), nel difendere l’operato dei colleghi, riferisce [2] che i militari hanno agito dopo che l’uomo ha colpito al volto uno di loro, «causandogli lesioni tali da richiedere il trasporto in ospedale». Per neutralizzarlo, gli agenti hanno quindi impiegato il taser, la cui scarica elettrica causa una paralisi temporanea dei muscoli. Sarà l’autopsia, disposta dalla procura di Tempio, a cercare di stabilire se vi sia un nesso tra il decesso e l’impiego della pistola elettrica. In soggetti con le funzionalità cardiache alterate o compromesse (per cardiopatie o per utilizzo di sostanze stupefacenti, ad esempio, ma anche a conseguenza di attività fisiche intense, come la corsa), questo può infatti comportare conseguenze potenzialmente letali. E il problema legato al suo utilizzo risiede proprio nel fatto che si tratta di condizioni spesso non verificabili a propri. All’indomani della morte di Demartis, Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna, ha definito l’arma uno strumento di «tortura legalizzata», impiegato per «contenere il disagio, provocando effetti fisici e psichici devastanti». Ad oggi, un registro riguardo la mortalità da taser non esiste – anche se, secondo quanto stabilito da Amnesty, negli Stati Uniti, dove il dispositivo è in uso da più tempo, le morti sono state migliaia negli ultimi 20 anni.

Sono numerosi gli episodi simili che si sono verificati nel tempo. A Pescara [3], Riccardo Zappone, 30 anni, è morto per arresto cardio-circolatorio dopo che due agenti lo avevano colpito con un taser a causa di un alterco per strada. Un anno prima, a Chieti, era toccato a Simone Di Gregorio, 35 anni, affetto da problemi psichiatrici. Lo stesso è accaduto a Bolzano [4] e a Roma [5]. In molti di questi casi, l’esame autoptico non si è rivelato conclusivo nello stabilire una correlazione tra l’utilizzo della pistola elettrica e il decesso. Eppure, secondo Amnesty, alla luce anche degli eventi di cronaca l’utilizzo di tali armi dovrebbe essere vietato «immediatamente», oltre che per le conseguenze fisiche – tra le quali sono comprese dislocazioni, fratture e ferite di altro genere, come effetti secondari delle convulsioni dovute alle scosse – anche per quelle psicologiche. In Italia, tuttavia, l’attuale governo punta a estenderne l’utilizzo: un emendamento [6] del decreto Milleproroghe ha infatti esteso il loro utilizzo alla polizia municipale di tutti i Comuni con più di 20 mila abitanti.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.