Dopo giorni di lotta incessante, l’incendio che ha devastato le pendici del Vesuvio è stato finalmente domato grazie all’intervento coordinato di Vigili del Fuoco, Protezione Civile, volontari e, nelle ultime ore decisive, a un temporale pomeridiano che ha aiutato a contenere gli ultimi focolai. Nel picco di maggior intensità, sul posto operavano oltre cento vigili del fuoco, sei Canadair e quattro elicotteri. Restano aperti i lavori di bonifica per mettere in sicurezza le aree bruciate ed evitare pericolosi reinneschi. Le fiamme, divampate nella notte tra il 7 e l’8 agosto nella pineta di Terzigno, si sono propagate velocemente verso Boscotrecase, Trecase e Torre del Greco, alimentate da caldo torrido, siccità e vento, distruggendo oltre 560 ettari di vegetazione, pari a oltre 5 km² del Parco Nazionale del Vesuvio. Stiamo parlando di una superficie che rappresenta il 6% dell’area protetta nazionale, un prezioso ecosistema ricco di specie animali e vegetali compromesso da atti verosimilmente dolosi.
Danni limitati ad agricoltura e abitazioni
Compromesso un prezioso ecosistema naturale

Certo è che a pagare il prezzo più caro è stato invece l’ecosistema naturale. Al riguardo si è espresso anche il Ministro della Difesa Crosetto, definendo [2] l’evento «un disastro naturale da arginare con ogni mezzo». Il rogo ha infatti colpito duramente una delle aree protette più preziose d’Italia. Il Parco Nazionale del Vesuvio [3] ospita oltre 700 specie vegetali, tra cui la rara Silene giraldi, presente solo sulle pendice del “gigante” e sulle isole di Capri ed Ischia, e diverse specie di ginestra. Degni di nota inoltre dei piccoli nuclei relitti di betulla (Betula pendula), specie tipica di boschi mediamente freschi che ricoprivano le pendici del vulcano in passato, quando le condizioni climatiche erano meno torride di quelle attuali. Abbondano poi le specie tipiche della macchia mediterranea e, con oltre 20 censite, diverse orchidee selvatiche tutelate dalla Convenzione di Washington. Volendo azzardare delle stime, poiché l’incendio ha riguardato il settore sudorientale del Parco, le comunità vegetazionali di interesse conservazionistico più compromesse coinciderebbero con pinete mediterranee di pini mesogeni endemici e, in misura minore, quelle dei campi di lava e delle cavità naturali (entrambe habitat di direttiva comunitaria [4]), nonché alcuni boschi di leccio. Guardando alla fauna, fattori come la vicinanza alla fascia costiera, il fatto di essere l’unico rilievo posto al centro della pianura nolana, e la grande eterogeneità ambientale, fanno del Vesuvio una importante area di sosta e rifugio per specie migratorie ed hanno contribuito all’insediarsi, in un territorio di modesta estensione, di una interessante comunità faunistica, arricchita di specie legate a peculiari microhabitat tipiche di ambienti rurali di limitata estensione. In generale, le comunità faunistiche, protagoniste al pari della vegetazione di cicliche ricolonizzazioni, contano uccelli migratori, medi e piccoli mammiferi, rettili e anfibi, i quali hanno sicuramente visto ridursi gli habitat e le zone di sosta a seguito dei roghi, con le specie più vulnerabili probabilmente andate in contro a forti cali di popolazione. Ma è presto per dirlo. La buona notizia è che – stando ad una recente valutazione [5] della letteratura scientifica – una percentuale relativamente bassa di animali (in media circa il 3%) viene uccisa durante gli incendi a livello globale grazie alla spiccata e innata spinta alla sopravvivenza che caratterizza ogni esemplare. La cattiva notizia è che gli effetti ambientali non si fermano solo alle fiamme. Vanno infatti considerati gli effetti tossici del fumo e in generale la riduzione della copertura di habitat già di per sé esigui. Inoltre, tornando sul fronte vegetale – come affermato [6] da esperti del CNR – la perdita della copertura vegetale e il deposito di cenere rendono il terreno impermeabile, aumentando nei mesi successivi il rischio di frane e colate detritiche in caso di piogge intense, come accadde dopo l’incendio del 2017. Senza contare che il disturbo provocato dagli incendi comporta il successivo insediamento di specie vegetali pioniere, naturalmente adibite alla ricolonizzazione, ma che spesso, in contesti fortemente antropizzati, potrebbero coincidere con specie alloctone invasive, come robinia e ailanto, le quali potrebbero potenzialmente insediarsi a discapito di specie locali.
Aree protette in fumo

Il Vesuvio non è comunque un caso isolato. Dal 15 giugno, solo in Campania sono andati in fumo oltre 2.500 ettari. Secondo Legambiente [7], nei primi sette mesi del 2025, in Italia si sono registrati 851 incendi, che hanno bruciato quasi 31mila ettari di territorio, di cui più di 18.700 in siti della rete Natura2000, aree protette a livello UE. Ciononostante, solo 8 parchi nazionali italiani su 24 dispongono di un Piano Antincendio Boschivo aggiornato, mentre in molte riserve naturali i piani sono scaduti o incompleti. Risulta quindi assente un documento essenziale per rispondere ad un’emergenza che ha cadenza annuale e spesso origine dolosa o colposa. A detta dell’ultimo Rapporto Ecomafia [8], nel 2024 sono stati 3.239 i reati di “incendi boschivi e di vegetazione, dolosi, colposi e generici in Italia” contestati dalle forze dell’ordine, Carabinieri forestali e Corpi forestali regionali. Un problema cronico, esacerbato da disattenzione e inciviltà (è sufficiente un mozzicone di sigaretta ad innescare un grave incendio), per cui sono necessarie nuove tecnologie investigative, maggiori risorse e una visione integrata e orientata alla prevenzione.