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Questura di Torino e Viminale sono stati condannati per discriminazioni sui migranti

La Questura di Torino e il Ministero dell’Interno sono stati condannati dal Tribunale di Torino per le pratiche discriminatorie adottate nei confronti dei richiedenti asilo. La sentenza, datata 4 agosto 2025, ha infatti sottolineato come il sistema di gestione delle domande di protezione internazionale imponga condizioni «mortificanti e con effetti discriminatori» per i migranti, violando il diritto di accesso ai servizi pubblici. La decisione è stata presa a seguito di una causa legale promossa da diciotto richiedenti asilo. In un contesto normativo che impone l’uguaglianza di trattamento, tale pronuncia ha sollevato interrogativi fondamentali sull’accesso equo alle procedure di protezione internazionale, mettendo in evidenza gravi lacune nell’organizzazione dei servizi da parte delle autorità italiane.

Nel suo pronunciamento, il Tribunale ha stabilito [1] che «le procedure adottate dalla Questura di Torino Ufficio immigrazione sono illegittime», in quanto «ostacolano, ritardano e rendono eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e dalla legge italiana di recepimento ai cittadini stranieri che intendono manifestare la volontà di presentare una domanda di protezione», ma anche che «costituiscono una discriminazione» che viene «consumata in contrasto con le norme che impongono la parità di trattamento tra i cittadini italiani e i cittadini stranieri, nonché tra i cittadini stranieri di diversa nazionalità». È stato infatti accertato come i migranti siano stati obbligati a mettersi in fila ore prima dell’apertura degli uffici, affrontando situazioni di estremo disagio – spesso accampandosi di notte per riuscire ad essere i primi ad entrare – senza la certezza di riuscire a presentare la propria domanda di protezione. Inoltre, la selezione delle persone che possono accedere agli sportelli avviene senza trasparenza, con criteri oscuri che discriminano esplicitamente alcune nazionalità. Nel corso del processo, è emerso che la Questura di Torino non solo non applicava criteri chiari per l’accesso, ma, in alcune occasioni, escludeva migranti di certe nazionalità, come nel caso in cui un funzionario avrebbe detto «per oggi, basta sudamericani». Questo comportamento ha alimentato la percezione di una selezione etnica nei servizi pubblici, confermando la natura discriminatoria delle prassi adottate. L’amministrazione – ha evidenziato il tribunale – non ha fornito spiegazioni adeguate sui criteri adottati per selezionare chi potesse entrare per formalizzare la domanda.

Il caso ha avuto inizio con una serie di ricorsi presentati da cittadini stranieri, assistiti da vari legali, che avevano cercato ripetutamente di formalizzare la loro richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Torino senza successo. Secondo quanto emerso durante il processo, i ricorrenti avevano fatto numerosi tentativi, tra cui l’invio di comunicazioni formali tramite i propri avvocati e attese estenuanti in coda, spesso dalle prime ore del mattino. Nonostante questi sforzi, nessuno di loro è riuscito a registrare la domanda nei tempi stabiliti dalla legge. A supporto della causa, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha documentato numerosi episodi di discriminazione, tra cui le testimonianze di richiedenti asilo che, dopo aver atteso a lungo, sono stati respinti con frasi come «oggi basta sudamericani». Inoltre, sono emerse criticità relative alla gestione dei diritti fondamentali dei migranti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a servizi sociali e sanitari, che risultano preclusi a chi non riesce a formalizzare la domanda di asilo.

Il Ministero dell’Interno e la Questura sono stati obbligati ad adottare nuove modalità organizzative entro quattro mesi dalla sentenza. In particolare, è statoaimposta l’adozione di un portale telematico per facilitare l’accesso alle procedure, nonché la pubblicazione della sentenza su giornali e siti istituzionali per garantire la trasparenza e la possibilità di evitare futuri comportamenti discriminatori. Nel frattempo, con un comunicato [2] congiunto, Questura e Viminale hanno però già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello contro la sentenza, sostenendo che le difficoltà derivino dalla grande mole di persone in attesa e non da un’intenzionalità discriminatoria.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.