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Brasile e India disobbediscono agli USA e ribadiscono la difesa della propria sovranità

Non esiste un solo modo per reagire alla geopolitica della forza messa in piedi a suon di dazi [1] e minacce da Donald Trump per tentare di ristabilire l’egemonia americana. Dopo che l’Unione Europea ha accettato [2] di aprire le porte ai prodotti americani e promettere centinaia di miliardi in importazioni di gas e investimenti di aziende europee negli USA per ammorbidire i dazi, i Paesi BRICS dimostrano ancora una volta di non sottostare ai diktat statunitensi. In Brasile il presidente Lula, dopo l’annuncio di Trump di dazi al 50%, ha ribadito che risponderà colpo su colpo alla guerra commerciale per proteggere «l’economia, le imprese e i lavoratori», precisando che «sono solo i brasiliani a determinare le politiche del Brasile». Allo stesso modo il governo indiano – Paese già sottoposto a dazi del 25% – ha reagito alla minaccia di Trump di intensificare le sanzioni nel caso in cui non interrompesse le importazioni di armi ed energia dalla Russia ribadendo di non accettare minacce e che le relazioni commerciali con Mosca non saranno interrotte.

Trump ha rilasciato l’annuncio [3] sui dazi sui beni importati dal Brasile lo scorso 9 luglio, in un comunicato in cui parla di relazioni commerciali «ben lontane dalla reciprocità», alludendo, come già fatto in molti altri casi, a una presunta bilancia commerciale in negativo per Washington. Lula ha messo subito le cose in chiaro: «L’affermazione secondo cui gli Stati Uniti avrebbero un deficit commerciale nei loro rapporti con il Brasile è inesatta. Le statistiche del governo statunitense stesso mostrano un surplus di 410 miliardi di dollari negli scambi di beni e servizi con il Brasile negli ultimi 15 anni», si legge in un comunicato [4] governativo. Non è chiaro da dove il governo brasiliano abbia ottenuto i dati sulla bilancia commerciale con gli Stati Uniti, ma consultando l’Ufficio del Censimento degli Stati Uniti [5] (l’ente governativo di statistica del Paese, una sorta di equivalente statunitense del nostro ISTAT) è possibile confermare che, malgrado i numeri forniti dal Brasile sembrino eccessivi, la bilancia commerciale tra i due Paesi pende notevolmente a favore di Washington (con un surplus di circa 150 miliardi in 15 anni).

A spiegare meglio le reali ragioni dietro i dazi statunitensi è arrivato il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Jamieson Gree, in una intervista all’emittente statunitense CBS [6]: «Abbiamo emesso una tariffa del 10%» di natura commerciale, «e poi c’è una tariffa del 40% per questioni geopolitiche», imposta come una sorta di sanzione. «Una cosa normale», sostiene il funzionario, che Trump si sarebbe visto costretto a fare dopo avere registrato «violazioni dei principi democratici» da parte del Brasile. Secondo Gree, il presidente sarebbe stato addirittura clemente: «In verità le tariffe sono più leggere delle sanzioni», afferma infatti il funzionario. Le ragioni dietro l’uso politico di uno strumento commerciale come i dazi nei confronti del Brasile risiedono nel rapporto tra Trump e l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, accusato di colpo di Stato. Già il 9 luglio, Trump elencava tra le motivazioni dell’imposizione dei dazi a Brasilia la «caccia alle streghe» del Paese nei confronti del suo vecchio alleato. A rincarare la dose sono arrivate anche le sanzioni emesse da Trump nei confronti di Alexadre de Moraes, giudice della Corte Suprema brasiliana che segue i casi in cui è coinvolto Bolsonaro.

I fatti per cui è accusato Bolsonaro risalgono all’8 gennaio 2023 [7], quando un gruppo di suoi sostenitori ha assaltato i palazzi istituzionali della capitale nel momento dell’insediamento di Lula. Bolsonaro è stato sin dall’inizio accusato dai ministri dell’esecutivo di essere dietro l’insurrezione e nel febbraio del 2024 [8] la Corte Suprema brasiliana ha pubblicato un documento che mostrava un presunto piano di golpe architettato dall’ex presidente. Nel frattempo, Eduardo Bolsonaro, terzo figlio di Jair, ha svolto attività lobbistica negli Stati Uniti avvicinandosi alla sfera repubblicana trumpiana, intensificandola dopo la sua elezione. Lo scorso mese alle accuse all’ex presidente si è aggiunta quella di aver favorito interferenze straniere; anche a causa dell’attività del figlio, che secondo le indagini avrebbe fatto da tramite per conto del padre per far sì che Trump intervenisse nel suo processo.

Tra Brasile e USA, insomma, è in corso un vero e proprio braccio di ferro politico in cui i dazi risultano solo uno strumento per esercitare pressione. Non stupisce in tal senso la risposta forte di Lula, che ha affermato che il Paese non intende piegarsi alle ingerenze statunitensi: «Il presidente Trump non si deve dimenticare che è stato eletto per governare gli Stati Uniti, non per essere l’imperatore del mondo», ha detto Lula in un’intervista all’emittente statunitense CNN [9]. Lula ha affermato che se Trump non ritira i dazi, presenterà ricorso davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio, proverà a coinvolgere altri Paesi nell’iniziativa, e sfrutterà la “Legge di Reciprocità Economica” approvata nei mesi scorsi proprio per rispondere a eventuali dazi statunitensi. «Il commercio del Brasile con gli Stati Uniti rappresenta l’1,7% del nostro PIL totale», ha ricordato Lula; «non è che non possiamo sopravvivere senza gli Stati Uniti».

Come il Brasile, anche l’India. Sebbene le tensioni con nuova Delhi siano meno evidenti, le frizioni tra i due Paesi iniziano a farsi sentire. Anche nel caso dell’India, Trump ha annunciato [10] dazi al 25% più una non meglio precisata «misura aggiuntiva», per il fatto che il Paese acquista la maggior parte delle proprie componenti militari e del proprio petrolio dalla Russia e, dunque, per ragioni politiche. Dei funzionari indiani, tuttavia, hanno dichiarato all’agenzia di stampa Reuters [11] che il Paese non intende diminuire le proprie importazioni di idrocarburi dalla Russia; tale notizia è stata confermata da altri funzionari al New York Times [12], che avrebbero detto al quotidiano statunitense che «le nostre relazioni bilaterali con i vari Paesi si basano sui loro meriti e non dovrebbero essere viste dal prisma di un Paese terzo», confermando che l’esecutivo non prevede di mutare le proprie relazioni su pressioni statunitensi. Poco dopo è arrivato il primo commento indiretto da parte del primo ministro indiano Narendra Modi [13]: malgrado non abbia fatto esplicito riferimento ai dazi, Modi ha parlato di una situazione globale «instabile», in cui i Paesi sono «focalizzati sui propri reciproci interessi»; ha dunque invitato la popolazione a consumare e acquistare solo beni prodotti in India, annunciando nuove misure per potenziare il Made in India, e investimenti nel settore agricolo. Oggi, lunedì 4 agosto, Trump ha deciso [14] di rincarare la dose su Nuova Delhi, affermando che, visto che l’India non intende disallinearsi dalla Russia, aumenterà ulteriormente i dazi contro il Paese, senza tuttavia specificare di quanto.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.