Palombo, verdesca o gattuccio: varietà di pesce il cui consumo è molto diffuso anche in Italia, al punto che tra il 2017 e il 2023 ne sono state commercializzate oltre 43 mila tonnellate. A sorprendere, tuttavia, è che secondo quanto rivelato da un sondaggio, pubblicato sulla rivista scientifica Marine Policy, due consumatori su tre non hanno alcuna idea che si tratti di tipi di squalo commercializzati spesso con scarsa tracciabilità ed etichette fuorvianti. Una questione che non è solo etica, ma di forte impatto sul predatore dei mari: oltre la metà delle 86 specie di squalo presenti nel mar Mediterraneo è infatti classificata a rischio di estinzione. E questo avviene nonostante la loro cattura all’interno dei mari europei sia formalmente vietata.
In occasione della Giornata mondiale degli squali, il WWF Italia ha evidenziato un fenomeno allarmante: come attestato [1] da una ricerca pubblicata su Marine Policy, nel continente europeo Spagna, Portogallo e Italia sono non solo importatori ma veri e propri hub di redistribuzione di carne di squalo. Un paradosso a fronte di politiche europee di conservazione marina: l’Unione, infatti, si impegna nella tutela e promuove [2] regolamenti come il fins naturally attached, che vieta la pesca delle pinne, ma i controlli restano insufficienti. Nel mondo sono circa 100 milioni gli squali che ogni anno vengono uccisi per carne, pinne, olio, cartilagine e pelle. Nell’ultimo mezzo secolo il 37% delle specie di squali e razze è minacciato di estinzione, con il Mar Mediterraneo che vede una situazione assai critica: tra le 86 specie note di elasmobranchi che vi abitano, oltre la metà è a rischio estinzione.
«Etichettatura e tracciabilità sono spesso carenti e le violazioni frequenti», ha avvertito il WWF. Da un sondaggio parallelo condotto su oltre 600 cittadini milanesi, pubblicato anch’esso su Marine Policy, è emerso [3] che il 64% di essi non sapeva che la carne di squalo fosse legalmente venduta in Italia; il 93% ha dichiarato di non averla mai comprata, ma il 28% ha ammesso di aver consumato palombo, verdesca o gattuccio senza sapere che fossero squali. Solo il 30% era a conoscenza dei rischi per la salute, legati all’accumulo di metalli pesanti. «Tra le specie più vendute troviamo squali in pericolo come verdesca, palombo, spinarolo e smeriglio», spiegano gli esperti del WWF Italia. Il consumatore, in larga parte ignaro, spesso trova sul mercato prodotti con nomi locali fuorvianti e generici che non rivelano la natura predatoria e il rischio estinzione delle specie.
Per invertire la rotta, il WWF – partner del progetto [4] cofinanziato dall’Unione Europea LIFE Prometeus, che punta a migliorare lo stato di conservazione di squali e razze nel Mediterraneo attraverso un approccio integrato – chiede ai consumatori maggiore attenzione alle etichette: leggere sempre denominazione commerciale e scientifica, zona di cattura e metodo di pesca, ed evitare prodotti senza tracciabilità. L’organizzazione «chiede ai cittadini dire no al consumo di squali e razze, almeno finché non vengano messe in atto misure di gestione efficaci per garantire una pesca più sostenibile delle specie commerciali e alle istituzioni di attivarsi quanto prima in questo senso, con un adeguato coinvolgimento dei pescatori e sulla base della ricerca scientifica – si legge all’interno di un comunicato -. In questo senso, sono essenziali formazioni a tappeto per pescatori e autorità deputate al controllo e commercianti per la corretta identificazione e commercializzazione delle specie di squali e razze». Un passo in avanti è rappresentato da tSharks, piattaforma digitale per il monitoraggio [5] di squali e razze nel Mediterraneo, grazie a campagne di tagging e rilevazioni da parte di ricercatori, pescatori e cittadini. Dal 2023 in Italia sono identificate 16 “aree importanti” per la riproduzione e sopravvivenza degli elasmobranchi, ideali per interventi tutelari.