Per la prima volta, in Italia sarà testata la psilobicina, il principio attivo contenuto nei funghi allucinogeni, nel trattamento della depressione resistente ai farmaci tradizionali. Lo rivela direttamente l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), spiegando che lo studio clinico è già stato autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Il progetto, aggiungono gli esperti ISS, prevede la partecipazione di 68 pazienti e sarà condotto per due anni presso la Clinica Psichiatrica dell’ospedale di Chieti grazie ai finanziamenti provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La sperimentazione svolgerà con il contributo dell’Università D’Annunzio, in collaborazione della Asl Roma 5 e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia. «Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale», commenta Giovanni Martinotti, direttore della Clinica Psichiatrica di Chieti.
Negli ultimi anni, l’interesse per l’uso clinico della psilocibina è aumentato in molti Paesi, specialmente per i casi di depressione maggiore che non rispondono ai trattamenti convenzionali. Secondo una ricerca [1] pubblicata dalla American Medical Association, per esempio, una singola dose della sostanza è stata associata a un effetto antidepressivo rapido e duraturo, con una riduzione della gravità della malattia, dell’ansia e dei sintomi depressivi auto-riferiti, oltre a un miglioramento della qualità della vita. Lo studio, pubblicato su JAMA, è stato condotto su oltre 100 pazienti con depressione maggiore e ha mostrato che una singola dose da 25mg di psilocibina, somministrata con supporto psicoterapeutico, è risultata significativamente più efficace rispetto al placebo nel ridurre i sintomi depressivi, mantenendo un buon profilo di sicurezza.
Dal punto di vista normativo, invece, l’Australia è stato il primo Paese, nel 2023, ad autorizzare gli psichiatri a prescrivere legalmente psilocibina e MDMA, mentre altri Stati come Svizzera, Nuova Zelanda e Repubblica Ceca hanno aperto all’uso controllato della sostanza in ambito terapeutico. Per quanto riguarda l’Europa, è in corso PsyPal [2], un progetto finanziato con fondi UE per valutarne l’uso nel trattamento del disagio psicologico legato a malattie progressive, anche se in Italia il tema resta oggetto di dibattito pubblico e mobilitazione civile. A fine giugno, infatti, l’Associazione Luca Coscioni ha avviato una campagna nazionale per «informare, sensibilizzare e difendere il diritto all’uso compassionevole e clinico delle terapie psichedeliche: sicure, controllate, scientificamente validate», secondo la quale non è necessaria una nuova legge: l’uso compassionevole di farmaci sperimentali, comprese le sostanze psichedeliche, infatti, sarebbe già previsto dalla normativa europea e italiana (Regolamento UE 726/2004 e DM 2017). L’ostacolo, secondo l’avvocato Claudia Moretti, sarebbe di natura culturale e politica, non giuridica: se non esistono alternative terapeutiche efficaci, è già possibile utilizzare composti come la psilocibina per alleviare sofferenze gravi, anche nei casi di depressione resistente. Il documento [3] da lei redatto, in particolare, sostiene che la normativa italiana preveda già esplicitamente l’uso compassionevole di sostanze sperimentali – comprese quelle psichedeliche – attraverso procedure regolate dal Regolamento UE 726/2004 e dal Decreto del Ministero della Salute del 2017, che autorizzano il medico, in assenza di alternative terapeutiche, a prescrivere molecole sperimentali se supportate da dati scientifici e con il consenso del paziente.
Per quanto riguarda lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità, gli esperti hanno spiegato [4] che l’interesse per la psilocibina risiede nella sua azione sui recettori della serotonina in quanto, una volta assunta, la sostanza viene trasformata in psilocina, che modula l’attività delle reti cerebrali coinvolte nell’umore, nella percezione e nel pensiero. Le tecniche di neuroimaging e neurofisiologia utilizzate nello studio, continuano, consentiranno di ottenere immagini dettagliate del cervello, con l’obiettivo di identificare biomarcatori cerebrali e definire nuove strategie di psichiatria di precisione: «Per la prima volta potremo valutare l’efficacia della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato ma anche esplorarne forme innovative come quella non psichedelica, che possa eliminare gli effetti allucinogeni mantenendo il potenziale terapeutico», evidenzia Francesca Zoratto, ricercatrice ISS e Principal Investigator del progetto. Giovanni Martinotti, professore ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti, commenta così: «Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale che ci permette di saperne di più sul potenziale antidepressivo della psilocibina e sulle sue modalità di azione. È una grande occasione per la ricerca italiana e per migliorare le cure per la salute mentale. Queste conoscenze potranno rendere l’impiego delle nuove molecole ancora più sicuro, accettabile e accessibile per l’applicazione in ambito clinico».