È di cinque denunce e un totale di otto anni di divieto di accesso agli stadi (DASPO) il bilancio di quanto avvenuto ieri sera allo stadio Sinigaglia di Como, durante la partita Ajax-Celtic, valida per la Como-Cup 2025. Due tifosi italiani, una donna lecchese di 40 anni e un uomo di 52 anni, poco prima della fine del match hanno esposto una bandiera palestinese verso il settore dell’Ajax. Quello che doveva essere un gesto simbolico di sostegno a una causa politica è divenuto il pretesto per una pesante reazione delle autorità e per l’imposizione di provvedimenti. Oltre ai due tifosi italiani, sono stati identificati altri 3 soggetti – due scozzesi di 29 e 24 anni e un 28enne con cittadinanza marocchina residente a Besana in Brianza – che si sono uniti a quella che la Questura ha definito una «azione provocatoria». Tutti sono stati condotti in Questura e denunciati per l’articolo 604 bis del codice penale, che punisce la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
Come hanno raccontato [1] gli stessi denunciati, la prima e vera provocazione era arrivata da parte di alcuni tifosi dell’Ajax, che attorno alle 22 avevano esposto una bandiera nordirlandese (dunque filo-inglese) con l’obiettivo di scatenare la rabbia dei tifosi irlandesi del Celtic. «La Polizia ha visto la bandiera palestinese e non quella dei tifosi dell’Ajax, ma tant’è», hanno raccontato i due tifosi italiani che hanno sventolato il drappo coi colori della Palestina. Infatti, nel comunicato emesso dalla Questura in seguito ai fatti, non c’è alcun accenno [2] alla provocazione olandese. «Di sicuro nessuno ci può accusare di razzismo per motivi etnici o religiosi. Naturalmente in questo periodo è più facile vedere solo la bandiera palestinese, che però per noi e per tutti i tifosi del Celtic è solo il simbolo di vicinanza a un popolo oppresso. Nulla che giustifichi l’accusa a noi mossa di antisemitismo», hanno concluso i due. A ogni modo, in risposta all’accaduto, il Questore di Como, Marco Calì, ha disposto immediatamente l’emissione dei provvedimenti di DASPO per tutti i cinque tifosi. Complessivamente, gli otto anni di divieto di accesso agli stadi impediscono ai denunciati di partecipare a qualsiasi manifestazione sportiva sul territorio nazionale per i prossimi anni. Le forze dell’ordine hanno contestato a tutti i coinvolti la violazione dell’articolo 604 bis del codice penale, interpretando l’esposizione della una bandiera palestinese in uno stadio di calcio come atto di discriminazione, con il conseguente rischio di incorrere in accuse di antisemitismo.
Il caso di Como non è certo un episodio isolato, ma inserito in un più ampio contesto di repressione contro chi manifesta solidarietà alla causa palestinese in Italia attraverso l’esposizione della bandiera palestinese. A Putignano, lo scorso maggio, poco prima del passaggio [3] del Giro d’Italia, a una famiglia è stato intimato di rimuovere la bandiera palestinese dal proprio balcone per «motivi di ordine pubblico», mentre a Salò, a gennaio, il fotografo Giulio Tonincelli ha visto la sua espressione di protesta contro il genocidio a Gaza minacciata da un intervento [4] dei carabinieri. Non solo: lo scorso ottobre, a Desio, l’apicoltore Marco Borella si era visto sanzionare con una multa di 430 euro per un «striscione non autorizzato» in cui si invocava lo “Stop al genocidio” ai danni del popolo palestinese. Questi episodi si aggiungono a quelli di Terni, dove un giovane militante di Potere al Popolo che aveva partecipato a una manifestazione contro l’approvazione del DDL Sicurezza, a febbraio, è stato fermato, identificato e perquisito dopo che è stata trovata [5] in suo possesso una bandiera della Palestina.