Nella giornata di ieri, 17 luglio, la Francia ha ufficialmente ceduto al Senegal le ultime due basi militari ancora in suo possesso nel paese. La cerimonia, che ha avuto luogo nella capitale Dakar, segna un momento storico: la Francia mette fine alla propria presenza militare permanente in Africa occidentale.
Durante una celebrazione che ha contato sulla partecipazione delle forze armate senegalesi e degli ufficiali francesi, il generale a comando dell’armata francese per l’Africa Pascal Ianni ha consegnato simbolicamente al generale Mbaye Cissé le chiavi del Camp Geille, la più grande installazione militare francese in Senegal.
Il ritiro era stato annunciato dal presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye nel novembre del 2024, che in un’occasione aveva denunciato l’incompatibilità della presenza militare stabile di una potenza ex-coloniale straniera in un paese indipendente e sovrano. Differentemente da altri contesti geografici, questo cambiamento storico si è prodotto in maniera pacifica, e segna, come affermato dal presidente, l’inizio di un «nuovo partenariato» tra i due paesi.
Secondo quanto dichiarato dall’ufficiale Ianni durante la cerimonia, questo momento sottolinea la necessità di tessere nuove relazioni tra la Francia e lo stato subsahariano. Nonostante il Senegal avesse ottenuto l’indipendenza dalla morsa coloniale nel 1960, le forze francesi hanno mantenuto la propria presenza militare stabile sull’area. La giornata di ieri ha segnato un cambio epocale nell’equilibrio militare del territorio, che de facto è stato presidiato ufficialmente dai corpi militari francesi per oltre tre secoli.
Dal 2014 fino a questo momento, la missione principale dei 350 militari (di cui 260 permanenti) appartenenti agli Elementi Francesi in Senegal (EFS) prevedeva la conduzione di operazioni in cooperazione con le forze armate senegalesi. Alcune delle missioni principali nelle quali sono state impiegate le EFS dallo stato francese sono state l’Opération Serval, missione di sostegno all’esercito del Mali contro l’offensiva dei gruppi islamisti in Azawad, e l’Opération Barkhane, estesa su tutto il Sahel e finalizzata al contrasto dei gruppi jihadisti di Al-Qaida e ISIS. Dal 2022 la Francia ha gradualmente messo fine alla sua permanenza in Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, mentre in Gabon ha trasformato il suo impegno militare in una gestione condivisa dell’ex-base di Libreville con le forze armate gabonesi, per scopi di addestramento.
A differenza degli altri paesi del Sahel, dove la Francia si è vista costretta ad abbandonare le basi a causa dell’espulsione imposta dalle giunte militari, il Senegal ha messo in atto un processo di affermazione concreta della propria sovranità nazionale, attraverso il quale si impegna a stringere relazioni con l’ex potenza coloniale riscrivendo le caratteristiche dell’antica gerarchia. Difatti il ritiro non prevede l’interruzione definitiva della collaborazione tra corpi armati.
Quest’avvenimento sottolinea ancora una volta il momento di grave crisi che la Francia vive in Africa. Difatti, la stessa Opération Barkhane, terminata nel 2022, fu definita da vari analisti come un fallimento, che con estrema probabilità potrebbe aver dato il via ad un processo di profonda sfiducia da parte delle popolazioni locali.
Sui social network hanno circolato per anni voci di attacchi militari francesi a danno degli alleati militari nell’area. Seppur smentiti dalla Francia, questi avvenimenti hanno in ogni caso alimentato tensioni e fatto crescere un sentimento antifrancese in tutta l’area.
A questo si aggiungono le proficue collaborazioni tra giunte militari del Sahel e gli altri due elefanti nella stanza: la Russia e la Cina. L’appoggio alle operazioni militari portate avanti dal gruppo Wagner (assunte adesso dai corpi paramilitari russi Africa Corps) in chiave antioccidentale e i macroinvestimenti economici cinesi in ambito edilizio, minerario, industriale e d’esportazione, stanno sostituendo con una certa rapidità l’influenza che per secoli ha battuto bandiera francese.
Nonostante questo strappo si sia consumato in maniera pacifica, la Francia perde un altro bastione all’interno del suo panorama ex-coloniale. Questo momento rientra in una riscrittura totale degli equilibri ex-coloniali, tra i quali spicca la concessione alla Nuova Caledonia dello status di “stato” all’interno della repubblica francese. Dopo secoli di controllo ed eredità coloniale la Francia perde un altro tassello in Africa; oltre al campo base condiviso in Gabon, resta solo una base militare in Gibuti.