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L’industria militare europea fiuta il momento e batte cassa: “dateci 150 miliardi”

L’Associazione delle industrie dell’aerospazio, della sicurezza e della difesa d’Europa (Asd) sta chiedendo a Bruxelles un aumento senza precedenti nella spesa militare: secondo l’industria bellica europea, infatti, servono 150 miliardi di euro nel prossimo bilancio pluriennale comunitario per una difesa adeguata del Vecchio continente. La richiesta non arriva in un momento qualunque, ma proprio alla vigilia della proposta ufficiale della Commissione europea sul prossimo bilancio 2028-2034. In un documento firmato dalle principali realtà del settore industriale militare si evidenzia come l’attuale livello di investimenti nel comparto non sia sufficiente nemmeno a far fronte alle contingenze militari di base. L’Asd ritiene, infatti, che i 13 miliardi di euro stanziati nel bilancio europeo 2021-2027 siano una «goccia nel mare». Sull’onda di guadagni record registrati dalle aziende europee della difesa grazie al rialzo dei titoli, dunque, il comparto militare ha deciso di sfruttare al massimo l’opportunità fornita dalle circostanze geopolitiche, battendo cassa nei confronti di Bruxelles. L’esecutivo comunitario, da parte sua, non si è fatto di certo pregare e ha previsto, per il prossimo bilancio pluriennale, 131 miliardi di euro a sostegno degli investimenti nella difesa, nella sicurezza e nello spazio, vale a dire cinque volte più finanziamenti a livello dell’UE rispetto al precedente Quadro Finanziario Pluriennale (QFP).

Secondo l’Asd, il prossimo bilancio pluriennale comunitario dovrà prevedere una soglia minima di 100 miliardi per iniziare a colmare un deficit militare valutato in 600 miliardi di euro. Si tratta della somma degli investimenti non effettuati durante un periodo considerato “di pace”, mentre ora – secondo i funzionari e l’industria della difesa europea – si andrebbe incontro a crescenti minacce militari in particolare da parte della Russia. Allo stesso tempo, con il pretesto della minaccia russa, si cerca il modo di compensare la crisi industriale europea attraverso l’industria bellica e di sopperire all’eventuale abbandono della sicurezza europea da parte degli Stati Uniti guidati da Donald Trump. Così, accanto al comparto militare, il settore spaziale chiede una dotazione specifica compresa tra 40 e 60 miliardi di euro, mentre l’industria dell’aviazione civile vorrebbe destinare almeno 23,5 miliardi a progetti di transizione e sostenibilità. L’associazione del settore mette in guardia dal rischio di ritardi critici, perdita di competitività e dipendenze strategiche da Stati Uniti e Cina. Tuttavia, secondo [1] l’Associazione del comparto, il tempo con cui gli Stati membri stanno aumentando le spese il comparto bellico resterebbe «inferiore alle aspettative e non allineato con la gravità della minaccia».

La Commissione europea, nella sua proposta per il prossimo QFP, si è subito allineata quasi interamente alle richieste avanzate dal comparto industriale militare attraverso la creazione del nuovo Fondo europeo per la competitività del valore di 409 miliardi di euro. Come si legge [2] nel comunicato stampa, “Il Fondo, che opera in base a un unico corpus di norme e offre un portale unico per i richiedenti finanziamenti, semplificherà e accelererà i finanziamenti dell’UE e catalizzerà gli investimenti pubblici e privati. Concentrerà il suo sostegno su quattro settori: transizione pulita e decarbonizzazione; transizione digitale; salute, biotecnologie, agricoltura e bioeconomia; Difesa e spazio”. Il Fondo comprende una sezione apposita dedicata a “Difesa e spazio” a cui saranno destinati 131 miliardi e sarà dotato di una “clausola di preferenza europea”, volta a garantire che gli investimenti restino all’interno dell’industria dell’Unione rafforzando le sue capacità produttive e tecnologiche.

La richiesta dell’Associazione delle industrie europee per la difesa si inserisce in un contesto politico-militare che ha già favorito enormemente gli interessi delle imprese del settore: basti pensare che, con le guerre a Gaza e in Ucraina, nel 2023, i cento principali colossi del settore bellico hanno registrato [3] profitti complessivi di quasi 600 miliardi di euro, con un incremento superiore al 4% rispetto al 2022, secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI [4]). Nel 2025, invece, l’italiana Leonardo ha segnato guadagni record con un balzo delle azioni del 15% alla Borsa di Milano, arrivando a toccare [5] oggi i 48,92 euro per azione, rispetto ai 6,38 euro del gennaio 2022. Una situazione simile si è verificata [6] per le altre imprese di armi e armamenti europee: la britannica Bae Systems è salita del 17%, la tedesca Rheinmetall del 14,4%, la francese Thales del 15% e Dassault Aviation addirittura del 16,7%.

Con il nuovo bilancio pluriennale di Bruxelles, i profitti dell’industria della guerra sono destinati a aumentare ulteriormente a scapito di investimenti in altri ambiti della spesa pubblica e gravando sugli stessi conti pubblici degli Stati membri. Non a caso, la proposta di bilancio di Ursula von der Leyen è stata seccamente respinta dall’intero Europarlamento e dai governi della Germania, dei Paesi Bassi e dell’Ungheria. In particolare, il cancelliere Friedrich Merz ha giudicato l’aumento «inaccettabile», soprattutto in un momento in cui i Paesi membri stanno consolidando i propri bilanci nazionali. Il QFP andrà, dunque, certamente rinegoziato e modificato. Tuttavia, alla luce del piano di riarmo europeo [7], condiviso da quasi tutti gli Stati membri e pilastro del nuovo mandato di von der Leyen, difficilmente i fondi per il settore della Difesa verranno ridotti. Al contrario, l’industria della guerra sarà tra i principali beneficiari del prossimo bilancio UE.

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Giorgia Audiello

Laureata in Economia e gestione dei beni culturali presso l'Università Cattolica di Milano. Si occupa principalmente di geopolitica ed economia con particolare attenzione alle dinamiche internazionali e alle relazioni di potere globali.