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La Commissione Europea lancia la nuova strategia per le emergenze sanitarie

Con la consueta retorica tecnocratica del “prevenire è meglio che curare”, la Commissione Europea ha annunciato due nuove strategie nell’ambito dell’«Unione della preparazione», focalizzate sulla costituzione di scorte strategiche e sulle contromisure mediche per rafforzare la preparazione alle crisi e la sicurezza sanitaria, sulla base delle raccomandazioni della relazione Niinistö [1]. Dietro il lessico rassicurante della governance e dell’efficienza operativa, della «resilienza», delle «strategie coordinate» e delle «iniziative solidali», si nasconde un impianto burocratico di gestione centralizzata che sembra voler cristallizzare lo stato d’eccezione come prassi ordinaria, normalizzando un paradigma securitario e bio-amministrativo che prescinde ormai da reali minacce, per perpetuare uno stato di mobilitazione permanente basato sulla teoria dello shock.

Nel dettaglio, la strategia di costituzione di scorte prevede la creazione di una rete europea per monitorare e gestire beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, carburanti. Le azioni chiave mirano a «salvaguardare gli approvvigionamenti essenziali prima delle crisi» e si focalizzano sull’istituzione di una rete dell’UE, sul coordinamento degli stock con gli Stati membri, sul miglioramento dei trasporti e della logistica per una risposta rapida alle crisi, sull’ampliamento delle scorte a livello dell’UE con il sostegno di iniziative come rescEU [2], e sulla promozione di partenariati civili-militari, pubblico-privati e internazionali per massimizzare l’uso delle risorse in modo efficiente e puntuale.

In apparenza, nulla di strano: la logica dello stoccaggio può sembrare ragionevole, ma il problema è che la crisi viene evocata come giustificazione costante per concentrare potere, centralizzare le decisioni e marginalizzare le autonomie nazionali. L’intero impianto è volutamente opaco e si affida a partenariati non solo civili-militari, ma anche pubblico-privati che, come già visto nel caso dei vaccini Covid, servono a trasferire denaro pubblico nelle mani di colossi farmaceutici e infrastrutturali, legittimando profitti colossali sulla pelle dei contribuenti.

Con la seconda iniziativa, l’UE intende predisporre una serie di «contromisure mediche» – promuovere i vaccini antinfluenzali di prossima generazione, nuovi antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica, antivirali per le malattie trasmesse da vettori, dispositivi di protezione, rafforzare la cooperazione globale e la collaborazione intersettoriale, elaborare un elenco dell’UE di contromisure mediche prioritarie, migliorare l’accesso ai medicinali e la loro diffusione attraverso appalti congiunti.

La Commissione annuncia inoltre l’accelerazione del programma HERA Invest [3], il braccio biotecnologico dell’UE, e il rafforzamento della EU FAB, la “capacità calda” di produzione di vaccini pronta all’uso. In pratica, si istituzionalizza un complesso bio-industriale che alimenta se stesso, producendo soluzioni per problemi che contribuisce a creare o ad amplificare, per spaventare l’opinione pubblica e legittimare misure draconiane.

Tra i bersagli? Le solite minacce: dai virus respiratori e da contatto a rischio pandemico, come il Covid-19, alle zoonosi come l’influenza aviaria, fino alle malattie emergenti e riemergenti come l’Ebola, arrivando alla famigerata “Malattia X”, un’entità fittizia creata dall’OMS, funzionale a giustificare una sorveglianza sanitaria continua e l’espansione illimitata del biopotere.

Siamo di fronte a un modello di governance che sfrutta il rischio ipotetico per modellare la realtà. Si crea il nemico invisibile – un virus ancora sconosciuto – per legittimare spese miliardarie, restrizioni dei diritti fondamentali e l’avanzata di un nuovo Leviatano tecno-sanitario, sempre più simile a un ibrido tra Big Pharma, NATO e OMS.

È impossibile leggere queste strategie senza richiamare alla mente il Trattato Pandemico [4]globale dell’OMS, ancora in fase di finalizzazione. Entrambe le iniziative europee si inseriscono nel solco di quell’accordo, che prevede la creazione di un sistema integrato di biosorveglianza globale basato su intelligenza artificiale, test di massa e raccolta di dati biometrici. Anche in questo caso, non si parla mai apertamente di consenso democratico o di diritti dei cittadini, ma solo di «scalabilità», «efficienza» e «resilienza».

E proprio il termine “resilienza” è il leitmotiv abusato da Hadja Lahbib, Commissaria per la Parità e per la Preparazione e gestione delle crisi, che per commentare le nuove misure varate dall’UE ha spiegato [5] che «rafforzando la nostra preparazione e resilienza», l’obiettivo è «affrontare le sfide future con fiducia». Lahbib divenne nota quando pubblicò un assurdo video dal titolo What’s in my bag? Survival edition [6], in cui mostrava gli oggetti da avere sempre con sé in caso di “crisi”, inclusi i vituperati contanti, per sopravvivere almeno 72 ore.

Bruxelles formalizza così il passaggio dall’eccezione alla regola: lo stato di crisi non è più un’eccezione, ma la nuova normalità, alimentata da paura, emergenze e terrorismo mediatico. Come ogni architettura autoritaria che si rispetti, anche questa si regge su un pilastro imprescindibile: la paura.

Si tratta dell’ennesima tappa in un processo più ampio: la costruzione di un’infrastruttura normativa, logistica e ideologica finalizzata a centralizzare il potere e a consolidare un controllo preventivo su popolazioni sempre più medicalizzate e sempre meno sovrane, nel quadro di un capitalismo emergenziale che monetizza la crisi e istituzionalizza la paura.

Il terrore sanitario è l’elemento fondante del nuovo ordine europeo: un’ansia diffusa e coltivata ad arte, utile per mantenere alto il livello di allerta e basso il livello del dibattito pubblico. Ogni emergenza è buona per giustificare nuove deroghe, nuove misure eccezionali, nuovi dispositivi di controllo.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.