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Nell’Amazzonia brasiliana le comunità autorganizzate stanno fermando i reati ambientali

In Brasile, il pattugliamento volontario messo in atto dalle comunità autorganizzate ha comportato una riduzione dell’80% dei crimini ambientali. Il risultato è emerso nel report [1] Strengthening Amazon conservation through community‐based voluntary patrolling, pubblicato sulla rivista accademica Conservation Biology. Lo studio è stato condotto nel decennio intercorso tra il 2003 e il 2013 e si è focalizzato su dodici unità territoriali facenti parte delle riserve di sviluppo sostenibile di Mamirauá e Amanã, nello stato di Amazonas. L’obiettivo del progetto era quello di constatare se le operazioni di pattugliamento volontario riducessero le attività criminali in ambito medio ambientale, contro le sole operazioni di routine attuate dal governo brasiliano.

La Voluntary Environmental Agents (VEA) ha effettuato quasi ventimila pattugliamenti in dieci anni, con un conteggio di centocinquantamila ore di lavoro, con un impatto sui crimini ambientali, si spiega nel report, dell’80% in undici delle dodici aree prese in esame. Delle varie violazioni, il 78,24% era legato a pesca illegale, in special misura l’utilizzo di attrezzature vietate o lo svolgimento dell’attività in aree proibite, come le zone di riproduzione ittica. Il 19% invece riguardava la caccia, spesso ai danni di specie protette o in vari casi senza licenza; mentre in misura meno frequente (3%) le attività di pattugliamento hanno impedito operazioni di disboscamento, nelle quali si includeva il prelievo di legname pregiato, il taglio in aree protette o la deforestazione finalizzata a creare spazio per altre attività, spesso condotte da agenti esterni alle comunità locali. 

Il report ha inoltre rivelato che le attività della VEA si sono rivelate particolarmente efficaci in caso di intervento in contesti segnalati dalle comunità locali, pratica che ha creato un equilibrio tra le agenzie statali, i comitati scientifici e le organizzazioni non governative impegnate sul posto.

L’approccio messo in atto dagli agenti volontari consisteva nella confisca dei mezzi considerati illegali e dei materiali estratti, la registrazione delle attività sgominate e la segnalazione delle infrazioni alle autorità ambientali competenti. Inoltre, la creazione di un registro dei dati ha permesso un monitoraggio capillare, finalizzato alla segnalazione delle aree con maggiore incidenza e alla conseguente strategia di pattugliamento. La rilevazione ha segnalato, inoltre, che il numero dei crimini scovati aumentava in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei volontari coinvolti nelle operazioni di pattugliamento, mettendo in evidenza la possibilità di aumentare il coinvolgimento delle comunità per ottenere risultati ulteriormente efficaci.

D’altra parte, lo studio ha analizzato in forma comparativa le operazioni condotte esclusivamente dagli agenti ufficiali del governo, in un lasso di tempo decennale (dal 2002 al 2012) in varie riserve dello stato di Amazonas, fatta eccezione per le due aree pattugliate dalle VEA. In questo caso i risultati non sono stati ugualmente positivi: attraverso sessantanove operazioni, dalla durata media di 159 ore ciascuna, che hanno coinvolto almeno sei agenti per missione, sono stati scovati in media tredici crimini ambientali per operazione, senza però mostrare alcuna tendenza significativa nella diminuzione degli stessi. Secondo lo studio questo metterebbe in evidenza l’inefficienza dell’impianto di controllo governativo nella dissuasione dei crimini ambientali, a causa della scarsa legittimità percepita dalle popolazioni locali o per fenomeni di corruzione sistemica nella relazione tra agenti e attività criminale.

I risultati incredibili ottenuti dai pattugliamenti volontari dimostrano come questo modello porti non solo benefici alla salvaguardia delle riserve sostenibili, ma sia capace di alimentare un circolo virtuoso all’interno delle comunità stesse. Difatti lo studio denota una maggiore consapevolezza all’interno del contesto sociale interessato, oltre che uno sviluppo nella coesione e nell’educazione ambientale. Nonostante i benefici, il report sottolinea anche eventuali criticità: in primis i pattugliamenti possono mettere in pericolo i volontari; inoltre, si sottolinea anche la sottorappresentazione della comunità volontaria femminile (26%) e di quella indigena (12%). A questo si aggiunge la dipendenza gestionale che le VEA hanno nei confronti di ONG e Stato, specialmente da un punto di vista logistico-economico e il rischio che il lavoro dei volontari possa disincentivare ulteriormente l’impegno governativo nel controllo e nella lotta contro la criminalità organizzata in contesto ambientale.La collaborazione volontaria ha messo in evidenza la forza autogestita delle comunità amazzoniche nella salvaguardia degli equilibri ambientali dell’area. Il report pubblicato su Conservation Biology afferma, inoltre, che i risultati straordinari ottenuti, rendono questo modello perfettamente replicabile in altri territori tropicali, divenendo così un punto di partenza nella gestione delle aree protette in tutto il mondo.

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Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.