Che cosa fa di quell’esame un esame speciale? La maturità è prima di tutto un incontro generazionale e un confronto di ruoli. Il sapere, i suoi contenuti sono importanti ma la maturità è stata e resta un esame di modalità, di ragion d’essere e di modi d’essere, di capacità relazionali: la maturità è un esame gestionale, interattivo.
Il copione della prova attende ansioso i suoi interpreti, la scansione drammaturgica nei tre canonici atti: la posta in gioco, le svolte, la soluzione.
Io l’orale di maturità l’ho affrontato nel 1966 ma sento che il mood di base, la tensione, la notte prima degli esami hanno ancora tutte le loro ragion d’essere. Per me, in cui si faceva strada il daimon del letterato, i colloqui più belli furono fisica e filosofia, indimenticabili.
Lo studente di allora e di ora sa che deve sapere ma sa anche che in gioco c’è un gioco di ruoli e che dunque bisogna scommettere su che cosa ti verrà chiesto, quasi un processo alle intenzioni, e su come si potrebbe sviluppare la narrativa di quella storia.
Io che poi ho fatto il professore in Università e ho esaminato migliaia di studenti so che ci sono professori che pretendono risposte esattamente in determinati termini, professori cioè che odiano i sinonimi e si aspettano soltanto determinate repliche ai loro quesiti, quelle e non altre, e ci sono studenti che si esprimono come dei registratori che ripetono oralmente quello che sta scritto nei testi.
Queste due categorie, se si incontrano, fanno sprizzare soddisfazione reciproca ma appartengono a quel genere di conduzione burocratica della vita, senza fantasie, senza errori, senza invenzioni e soprattutto senza intuito e con scarsa elasticità mentale.
C’è bisogno anche di loro come c’è bisogno di vigili urbani, verbalisti e cancellieri, ma con misura, con estrema misura. E anche loro meglio se non troppo convinti del proprio ruolo.
Due tra i miei filosofi preferiti, Wittgenstein e Popper, memori dell’antica tradizione sperimentale ed empiristica, insegnavano che si impara dagli errori. E dunque è dagli errori, da una discussione degli errori che sprigiona la verità e la formazione.
Ma per fare questo, oltre alla predisposizione e capacità, ci vuole tempo. Il dialogo è più lento dello scontro, d’altra parte il sì e il no sono importantissimi, segnano il ruolo ‘paterno’ della conoscenza, marcano la strada con i suoi incroci e le sue inevitabili scelte ma la conoscenza, lei è ‘materna’, è ampia, paziente, custodisce, cura, perdona.
Si discute in questi giorni del rifiuto di alcuni studenti di presentarsi agli orali, pretendendo nello stesso tempo di convalidare l’esame in base agli scritti. Un errore di infantilismo, un plateale segno di immaturità, di rivendicazione velleitaria.
Se volete che le cose cambino, ma anche che gli esami di maturità restino come barriere indispensabili, allora bisogna in sede d’esami aprire le discussioni, sapere sostenere una dialettica, dimostrare che la maturità per continuare gli studi o fare dell’altro nella vita esiste anche se le risposte non sono tutte esatte.
Sennò eccola lì la risposta burocratica, inevitabilmente repressiva. Il ministro, non paterno ma paternalista, cerca così di trovare consenso sottolineando il proprio ruolo sanzionatorio, evitando qualsiasi interpretazione alternativa.
Ministri dell’Istruzione che hanno giurato sulla bibbia dei regolamenti ne abbiamo avuti fin troppi, studenti che scambiano le lotte con i premi per tutti anche troppi. L’operaia dea Fatica e il platonico dio Dialogo attendono costoro inutilmente.