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Come previsto, la mozione di sfiducia contro la von der Leyen non è passata

Con 360 no, 175 sì e 18 astenuti, la mozione di sfiducia contro Ursula von der Leyen è stata respinta. Al voto hanno partecipato 553 eurodeputati su 720 membri. La presidente della Commissione esce indenne dall’ennesimo voto-farsa del Parlamento europeo, non perché sia stata assolta, ma perché nessuno ha davvero voluto processarla. La mozione di censura sullo scandalo Pfizer [1] si è trasformata in un’enorme resa dei conti tra i banchi dell’Eurocamera, ma di fatto è servita solo a misurare il grado di anestesia democratica che affligge l’UE. Von der Leyen sopravvive a Strasburgo grazie al cinismo dei gruppi parlamentari europei che – al di là delle fratture evidenti – si stringono in difesa della presidente della Commissione.

Era dal 2014 [2]che non veniva votata una mozione di sfiducia contro la Commissione europea. Avanzata da 79 eurodeputati – per lo più della destra sovranista – l’iniziativa [3]è stata promossa dall’eurodeputato rumeno Gheorghe Piperea, del partito AUR e membro del gruppo Conservatori e Riformisti Europei. A salvare oggi von der Leyen non è stato il sostegno al suo operato, ma l’omertà dei partiti di sistema che, pur di non votare una proposta della destra sovranista, hanno preferito salvare la politica tedesca. L’iniziativa è stata sostenuta da 175 parlamentari, principalmente dei gruppi dei Patrioti, dei Sovranisti e da alcune delegazioni dei Conservatori. Qualche voto è arrivato anche dalla Sinistra e dalla delegazione del Movimento 5 Stelle. Hanno invece votato no 360 eurodeputati: quelli del PPE, dei Socialisti e Democratici, dei Liberali, ma anche i Verdi, che già avevano sostenuto la fiducia a von der Leyen in occasione del suo insediamento. L’Eurocamera, ancora una volta, recita la parte del simulacro democratico: si fa il teatrino della mozione, ma nessuno vuole davvero affondare la lama. Neanche chi, come i Socialisti [4], pochi giorni fa minacciava vendetta per il “tradimento climatico” della presidente. Alla prova dei fatti, preferiscono attaccare la destra anziché i reali centri di potere: «Noi, come sapete bene, non votiamo mai con l’estrema destra. Magari dovreste fare la stessa domanda ai Popolari che spesso lo fanno», ha detto la presidente del gruppo Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, Iratxe Garcia Perez.

Fratelli d’Italia, nonostante gli annunci dei giorni scorsi (a parlare era stato Nicola Procaccini, l’eurodeputato italiano che è anche co-presidente del gruppo), non ha partecipato al voto. «Il voto odierno non è la nostra battaglia e le nostre delegazioni non hanno partecipato alla votazione», recita un comunicato sottoscritto dal capo delegazione di FdI al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, e dai capi delegazione della maggioranza del gruppo ECR.

Lunedì scorso, la presidente della Commissione europea aveva respinto la mozione di sfiducia nei suoi confronti, bollandola come una caccia alle streghe intentata dai “no-vax” e dai «movimenti alimentati da cospirazioni e complottismi, che fanno apologia di Putin», con l’intento di minare l’unità europea e «polarizzare le nostre società con la disinformazione». E riguardo alle trattative [5] sui vaccini con il CEO di Pfizer, Albert Bourla, aveva derubricato le accuse a complottismo, spiegando che «non ci sono stati segreti, clausole nascoste, né obblighi di acquisto per gli Stati membri».

Con il voto di oggi, Ursula von der Leyen resta saldamente incollata al Berlaymont, nonostante una sentenza [6]della Corte di Giustizia UE che ne certifica la gestione opaca del più colossale affare vaccinale della storia europea: l’accordo da 35 miliardi di euro con Pfizer. Una condanna non solo giuridica, ma anche politica, che mina alla base la credibilità di Ursula von der Leyen, il cui modus operandi, all’insegna dell’opacità e della centralizzazione del potere, è ormai noto e sta emergendo anche negli ultimi mesi, in una fase politica delicata per i Paesi dell’Eurozona, in cui von der Leyen si sta muovendo con crescente autonomia e arrogante disinvoltura su dossier strategici che vanno dalla politica industriale fino alla difesa. La Corte UE ha stabilito [1] che la Commissione ha violato i princìpi di trasparenza nel rifiutare la pubblicazione degli SMS tra von der Leyen e Albert Bourla, CEO di Pfizer, messaggi che – secondo la stampa internazionale – contenevano il cuore pulsante delle trattative per la maxi-fornitura di 1,8 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid. Messaggi scomparsi nel nulla. Non archiviati, non consegnati, nemmeno cercati: una gestione da manuale dell’occultamento istituzionale. Una sentenza che non riguarda solo la violazione del diritto d’accesso agli atti, ma l’architrave stessa della legittimità democratica dell’UE.

Eppure, la mozione di sfiducia è stata trattata come un capriccio ideologico della destra sovranista, teleguidata dai fantomatici “burattinai russi”. Il Parlamento ha preferito proteggere il proprio status quo anziché inchiodare una presidente il cui operato è sempre più assimilabile a quello di un plenipotenziario. Lungi dal fare chiarezza, le istituzioni hanno alzato un muro di gomma, confermando che il vero scandalo non è più Pfizergate, ma la totale deresponsabilizzazione politica. Quella che doveva essere una sfiducia politica è diventata un salvacondotto istituzionale.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.