Con la diffusione del digitale, il concetto di possesso del software è diventato sempre più sfumato. Senza grandi fanfare, si è passati dal comprare un prodotto all’acquistare una semplice licenza d’uso, la quale consente spesso al distributore di ritirare il servizio a propria discrezione. Anche il settore videoludico è ovviamente soggetto a questa dinamica, una prospettiva che ha scontentato molti giocatori, spingendoli a lanciare la petizione Stop Killing Games, “smettetela di uccidere i videogiochi”. La raccolta firme ha superato la soglia minima per essere riconosciuta come Iniziativa dei Cittadini Europei (ECI), obbligando di fatto l’Unione Europea a prendere in considerazione l’adozione di leggi a tutela degli acquisti digitali dei propri cittadini.
La petizione [1]è stata lanciata dal creatore di contenuti Ross Scott in risposta al fatto che sempre più videogiochi richiedono una connessione online anche quando non strettamente necessario, con la certezza che, prima o poi, i server che li supportano verranno spenti [2], rendendo inaccessibili e inutilizzabili i titoli originali. Nonostante questi giochi vengano venduti a prezzo pieno, le aziende che li distribuiscono non hanno alcun obbligo di mantenerne l’operatività. Neppure quando i giochi vengono distribuiti sotto forma di copie fisiche. Un disimpegno digitale che costringe i consumatori ad accettare licenze sempre più restrittive e policy poco trasparenti, nonché a tollerare l’obbligo di essere costantemente connessi alla Rete per poter usufruire del prodotto.
Questo modello commerciale unisce gli svantaggi della vendita tradizionale — il costo — a quelli dei servizi in streaming — la subordinazione dell’utente a un’infrastruttura online — incarnando un paradigma economico che si allontana sempre più dall’idea di titolarità del consumatore, in favore di un ecosistema fatto di abbonamenti e servizi on-demand. Un universo in cui tutto è in affitto: dai programmi per computer alle automobili in leasing. In questo senso, Scott identifica i videogiochi come terreno di sperimentazione occulta, dove le aziende testano i limiti di tolleranza di legislatori e associazioni dei consumatori, sviluppando modelli che rischiano poi di estendersi ad altri settori.
Per chiedere un cambiamento, il movimento Stop Killing Games ha fatto ricorso al meccanismo legale dell’ECI, che consente ai cittadini dell’UE di proporre nuove leggi ai rappresentanti a Bruxelles. Leggi che, in questo caso, sono state formulate nella prospettiva di trovare un compromesso tutt’altro che estremista: l’obiettivo di Scott non è imporre agli editori di mantenere per sempre attive le infrastrutture online, bensì obbligarli a fornire soluzioni che rendano “ragionevolmente giocabili” quei titoli nati per funzionare online, anche in forma ridotta.
La petizione ha già raggiunto il numero minimo di firme necessario per essere considerata valida, tuttavia il suo promotore invita i sostenitori a continuare a firmare, in modo che un numero più ampio di adesioni possa compensare eventuali firme invalide raccolte nel frattempo. Trattandosi di un’iniziativa formale, infatti, l’autenticità dei firmatari sarà verificata dalle istituzioni, al pari di un qualsiasi referendum. Nel frattempo, la lobby europea del videogioco, Video Games Europe, ha già fatto sapere in una lettera aperta [3]di non essere affatto favorevole all’iniziativa.
Secondo le aziende coinvolte, l’introduzione di queste nuove tutele per i consumatori avrebbe “un effetto raggelante sullo sviluppo dei videogame”, “aumentando i costi di produzione” al punto da rappresentare “un disincentivo a rendere disponibili i giochi in Europa”. È una minaccia già sentita: le lobby e le grandi aziende tecnologiche l’hanno [4] spesso [5]impiegata [6]quando le normative europee hanno messo in discussione i loro modelli di business. Tuttavia, finora, si è rivelata per lo più vuota e poco credibile. Quando si è trovata a contrastare le pressioni delle Big Tech, l’Unione Europea è riuscita occasionalmente a raggiungere traguardi che hanno avuto ricadute positive su scala globale: dal consolidamento degli standard dei cavi di ricarica al diritto alla riparazione, alcune normative UE sono riuscite a fissare limiti chiari a pratiche commerciali discutibili. Stop Killing Games potrebbe raccogliere questa eredità, tracciando un percorso verso un mercato digitale che, sotto molti aspetti, naviga ancora a vista.