La Cassazione ha inferto un colpo durissimo al decreto Sicurezza del governo Meloni. In un report di 129 pagine – la Relazione n. 33, pubblicata il 23 giugno 2025 – l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte ha infatti formulato una lunga serie di rilievi sul metodo e sul merito del provvedimento, delineando possibili profili di incostituzionalità e disomogeneità nei suoi articoli, tanto dirimenti da poter costituire base per ricorsi alla Corte costituzionale. Sebbene non si tratti di un documento vincolante, l’autorevolezza della fonte lo rende certamente una pietra miliare nell’attuale dibattito giuridico e politico. Tra i passaggi finiti sotto la lente della Suprema Corte, le aggravanti territoriali e di status, le norme che puniscono le rivolte in carcere e le occupazioni abusive, lo scudo penale per i servizi segreti e il divieto alla commercializzazione della cannabis light.
Il pacchetto sicurezza – entrato in vigore il 12 aprile 2025 – è stato approvato [1] dal governo in forma di decreto legge, dopo essere stato bloccato in Parlamento sotto forma di disegno di legge. Un passaggio che la Cassazione definisce senza precedenti nella materia penale: «La prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale». La Corte osserva che la decretazione d’urgenza è stata usata in modo arbitrario, esprimendo «severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi». E ancora: «A ciò si aggiunge l’estrema disomogeneità dei contenuti», che «avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni». Invece, «la conversione in legge li riunisce “a bordo” di un unico articolo», in violazione della Costituzione (art. 72). Sul piano formale, inoltre, la Cassazione rileva che il decreto non è stato presentato alle Camere per la conversione il giorno stesso della sua adozione, come impone l’art. 77 della Costituzione. Ne deriva un possibile vizio insanabile: mancando «i presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza», potrebbe determinarsi «l’invalidità della legge di conversione».
I rilievi [2] più significativi si concentrano però sul merito. Il provvedimento, evidenzia la Corte, presenta un «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati», e può produrre «discriminazioni e violazioni di diritti umani». La formulazione di molte nuove fattispecie penali e aggravanti è così vaga e generica da violare i principi costituzionali di «materialità», «precisione e determinatezza», «offensività», «uguaglianza», «autodeterminazione», «ragionevolezza» e «libertà di manifestazione del pensiero». Un esempio eloquente è rappresentato dalle aggravanti collegate al luogo o allo status dell’autore del reato, come nel caso del «danneggiamento in occasione di manifestazioni», dove il rischio è quello di criminalizzare «la contestazione e il dissenso». O ancora, la previsione di pena detentiva differenziata per le madri detenute con figli minori di un anno: basta un solo giorno in più nella data di nascita per cambiare radicalmente la sorte giudiziaria. Per quanto concerne i nuovi reati di resistenza passiva nelle carceri, la Corte sottolinea il rischio di incriminare «ogni atto di ribellione, non connotato da violenza o minaccia, quali, ad esempio, il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria», parlando di una scelta «senza precedenti nell’ordinamento penale».
Particolarmente controversa è anche l’estensione dello scudo penale agli agenti dei servizi segreti che creano o dirigono gruppi eversivi o terroristici «a fini preventivi», che la Corte inquadra come «l’intervento più significativo e, per certi aspetti, più controverso» del decreto. La scelta di consentire [3] agli 007 di fondare gruppi terroristici è, secondo gli ermellini, «un assoluto inedito nel panorama penalistico». Dirigere un’associazione terroristica è infatti «fenomeno ben diverso, più grave e più pericoloso rispetto alla già sperimentata possibilità di “infiltrazione”», trattandosi di una misura «sproporzionata, se non addirittura disfunzionale» rispetto alle finalità dell’antiterrorismo.
Preoccupa, inoltre, la norma che punisce le occupazioni abusive, che secondo la Corte presenta «eccessiva indeterminatezza», è «di difficile configurabilità» e non prevede nessuna «forma di impugnazione». I giudici si focalizzano [4] anche sul divieto di commercializzare la cannabis light (art. 18), che «sembra impedire la libera circolazione di una merce all’interno dell’Ue in spregio al principio del mutuo riconoscimento e in rilevato difetto di esigenze imperative», mancando «evidenze scientifiche che provino che le infiorescenze di canapa e i derivati di varietà di canapa con un contenuto di Thc inferiore allo 0,3% siano una minaccia per la sicurezza e la salute pubblica».