Proseguono le proteste dei lavoratori di Panama, da mesi in sciopero per una riforma delle pensioni e contro la presenza statunitense sul territorio. Per contenere la sempre più intensa ondata di contestazione, il governo del presidente José Raúl Mulino è stato costretto a dichiarare nuovamente lo stato di emergenza e a dispiegare circa 1.500 agenti. L’invio degli agenti per sedare le proteste ha causato un aumento della tensione, e ha portato al ferimento di oltre 30 persone e all’arresto di almeno 50. Le proteste del popolo panamense sono state lanciate dai sindacati e dai lavoratori del settore bananiero nella provincia di Bocas del Toro, ma lo sciopero si è rapidamente allargato a tutta la popolazione: i cittadini contestano l’adozione di una riforma che potrebbe portare alla riduzione delle pensioni e la firma di un memorandum con gli USA che autorizza il dispiegamento di forze di sicurezza statunitensi nel Paese.
La scorsa settimana, le proteste di Panama sono state particolarmente accese. Dopo mesi di blocchi, marce e scontri, la tensione ha raggiunto il culmine nella giornata di giovedì 19 giugno, nella città di Changuinola, capoluogo di Bocas del Toro. Qui, un gruppo di individui incappucciati ha saccheggiato attività commerciali e incendiato parzialmente uno stadio di baseball; i manifestanti hanno preso di mira anche l’aeroporto locale, rubando alcuni veicoli delle compagnie di autonoleggio. In generale, nella regione, le proteste si sono concentrate anche sui magazzini e sui punti in mano alla multinazionale Chiquita, che sono stati saccheggiati dai manifestanti. Nella giornata di venerdì, il governo ha sospeso i voli ed emanato lo stato di emergenza: il ministro Juan Carlos Orillac [1] ha dichiarato che la misura comporterà la sospensione di alcuni diritti costituzionali, vietando gli assembramenti pubblici, limitando la libertà di movimento e consentendo alla polizia di effettuare arresti senza mandato. Le restrizioni saranno in vigore per cinque giorni e interesseranno tutta la provincia di Bocas del Toro.
La protesta dei lavoratori di Panama va avanti da mesi. È stata lanciata lo scorso marzo, con l’approvazione da parte del governo del disegno di legge di sicurezza sociale 462, che introduce modifiche al fondo di previdenza sociale che potrebbero causare una riduzione delle pensioni. I primi a mobilitarsi sono stati i lavoratori del settore bananiero, prevalentemente provenienti dalla provincia di Bocas del Toro. Qui, i lavoratori hanno portato avanti blocchi stradali, disertato il lavoro nei campi e dato il via a lunghe marce di protesta, provocando danni significativi ai trasporti e all’approvvigionamento di beni. Per rispondere alle proteste, il 27 maggio, il presidente Mulino ha dichiarato lo stato di emergenza, ritirandolo poco dopo; la multinazionale Chiquita, invece, ha annunciato il licenziamento di tutti i suoi operatori [2], circa 7.000, contestando loro un danno di almeno 75 milioni di dollari.
Alle proteste dei braccianti si sono uniti gli altri lavoratori di categoria, e nel corso degli ultimi due mesi la mobilitazione si è estesa a tutta la popolazione. Ad aggravare la crisi, ad aprile, è arrivata la firma di un memorandum di intesa con gli Stati Uniti, che autorizza Washington a inviare contingenti di forze di sicurezza, liberi di condurre “attività umanitarie” o di altro tipo, a seconda delle necessità. Il popolo panamense ha così esteso le ragioni della propria protesta [3], aggiungendo alle rivendicazioni sociali e lavorative quelle politiche, iniziando a contestare la presenza statunitense sul territorio.