Bruxelles, Belgio – La Global March to Gaza, bloccata al Cairo la settimana scorsa, si è spostata a Bruxelles. Centinaia di persone provenienti da diversi Paesi europei si sono ritrovate oggi per una settimana di mobilitazione nella capitale europea, mentre nei palazzi della politica sono previste riunioni e votazioni sugli accordi tra Unione Europea e Israele. Oggi, 23 giugno, la protesta è stata fermata a circa duecento metri dal Parlamento e si è trasformata in un presidio con bandiere e cartelli, tra cori e interventi. «Siamo qui per opporci agli accordi tra l’Unione Europea e Israele» dice a L’Indipendente Andrea, uno dei manifestanti italiani giunti a Bruxelles dopo essere stati al Cairo. «Il sostegno politico, economico e materiale dell’UE al genocidio in corso deve finire. Oggi, dentro quelle mura, il Consiglio dei ministri degli affari esteri discuterà dell’Accordo di associazione tra l’UE e Israele: un accordo che deve essere immediatamente cancellato. Basta complicità con questo genocidio».
In sottofondo riecheggiano i cori per la liberazione della Palestina che da mesi risuonano in tutte le città europee. In discussione oggi era proprio l’accordo di associazione UE-Israele, che alcuni leader, tra cui la Spagna, avevano chiesto di sospendere per la violazione dell’articolo 2 dello stesso accordo, il quale stabilisce esplicitamente come clausola che «le relazioni tra le Parti… si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che costituisce un elemento essenziale del presente accordo». Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha confermato al suo arrivo a Bruxelles la linea filo-israeliana del governo, dichiarando che l’Italia si sarebbe opposta alla sospensione. Sempre oggi, anche 22 associazioni italiane si sono radunate a Roma per manifestare contro il rinnovo dell’accordo. Nella sede della Commissione europea, intanto, mentre a Gaza il massacro prosegue, è stato accolto anche il ministro israeliano degli Affari esteri.
«Chi bombarda è invitato, chi resiste è ignorato. Questa è complicità» scrivono sui social i manifestanti. «L’Europa guarda altrove mentre Gaza muore. Chiudere gli occhi è una scelta politica. È il momento di farsi sentire». La Global March ha così lanciato una settimana di protesta, iniziata oggi e destinata a proseguire fino al 26 e 27 giugno, giorni del vertice del Consiglio europeo a Bruxelles, durante il quale i leader dell’Unione discuteranno delle priorità politiche e delle relazioni esterne e di sicurezza. Ma senza alcun riferimento a Gaza.
Dopo che la marcia per raggiungere il valico di Rafah è stata bloccata e repressa [1] dalle autorità egiziane, molti attivisti hanno deciso di portare la propria voce nel cuore dell’Europa, dove si stringono gli accordi che consentono a Israele di proseguire indisturbato questa guerra unilaterale, sbarcata da poco anche in territorio iraniano, dove si contano già centinaia di vittime. «Dobbiamo agire qui. L’UE deve prendere posizione contro il genocidio. I popoli del continente sono con la Palestina: i governanti europei hanno il dovere di ascoltarci invece di schierarsi con Israele» continua Andrea.
Le mobilitazioni continuano in tutta Europa; la settimana scorsa, proprio a Bruxelles, sono scese in piazza almeno 75mila persone, a cui si sommano altre 100mila che hanno protestato all’Aia. Vestite di rosso, simboleggiavano «la linea rossa» non tracciata dal governo per fermare Israele. È stata una delle manifestazioni più grandi di sempre a favore di Gaza in seno all’UE, dove la richiesta verso i propri governi era semplice: «basta complicità con Tel Aviv. Fermiamo il genocidio».
Bruxelles è una città molto viva e solidale con la Palestina: ogni sera c’è una manifestazione davanti alla Borsa, e ad oggi le associazioni e i gruppi attivi si sono organizzati per ospitare le centinaia di persone venute dal resto d’Europa per la Global March. Intanto, mentre fuori dalla Commissione continuava il sit-in, un migliaio di attivisti belgi della rete Stop arming Israel [2] hanno bloccato due aziende di armi, responsabili di rifornire Israele di droni e tecnologie.
I manifestanti, molti vestiti con tute bianche e mascherine, hanno bloccato l’accesso [3] alla Syensqo di Bruxelles, lanciato vernice rossa sulla facciata e lasciato numerose scritte per denunciare la complicità [4] dell’azienda nel genocidio in corso. Syensqo, spin-off di Solvay (già al centro dello scandalo PFAS in Piemonte [5]), fornisce materiali alla UAV Tactical Systems Ltd (di proprietà di Elbit e Thales, altro colosso della produzione bellica), rendendo possibile la costruzione dei droni Hermes 450 che Tel Aviv sta impiegando su larga scala. Poche ore prima anche OIP-Elbit, a Tournai, era stata bloccata e colpita con vernice rossa. Nella notte, inoltre, un centinaio di persone si sono introdotte in uno degli hangar dell’azienda, danneggiando alcuni mezzi militari e materiale informatico.
Elbit Systems è la principale azienda di armi israeliana, produttrice di circa l’85% dei droni e della maggior parte delle attrezzature militari terrestri utilizzate dall’esercito di Tel Aviv. «La campagna Stop arming Israel chiede di fermare la produzione di equipaggiamenti militari e il loro transito dal Belgio verso Israele. L’azione mira a rendere effettivo l’embargo militare contro Israele decretato dal Belgio nel 2009 e a chiedere sanzioni contro Israele, tra cui la cancellazione dell’accordo di associazione UE-Israele» scrivono gli attivisti nel comunicato stampa [6] che rivendica l’azione.
E concludono: «Il genocidio inizia qui. Abbiamo il dovere morale di interrompere le catene di approvvigionamento dell’esercito israeliano. L’impunità e i crimini del governo israeliano devono finire. Di fronte alla complicità dei nostri governi, stiamo agendo per applicare noi stessi delle sanzioni e per rendere effettivo l’embargo militare che il Belgio dovrebbe applicare».
Centinaia di persone sono state messe in stato di fermo e portate in questura. Molte delegazioni della March to Gaza hanno raggiunto il presidio in solidarietà ai fermati, anche perché il senso profondo di questi gruppi è lo stesso: agire in prima persona e bloccare la violenza di Israele, anche contro le scelte politiche dei governanti UE.