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La verità dietro le mele tutte perfettamente uguali che si trovano al supermercato

Ormoni della crescita usati per coltivare le mele esteticamente perfette dei supermercati: queste sono le conclusioni di una ricerca dell’Università di Zurigo condotta tra 200 agricoltori, che mette in evidenza come i supermercati pagano di più le mele senza difetti che si ottengono con i cosiddetti “regolatori della crescita”, in grado di evitare ammaccature ed eliminare i frutti più “brutti”. Ma si tratta di ormoni della crescita veri e propri, e sono considerati dalla ricerca scientifica interferenti endocrini, cioè sostanze che interferiscono con il funzionamento ormonale dell’organismo umano.

Avete tutti presente di certo come sono le mele che si vendono nei supermercati: lucide, bellissime, di colore acceso, grosse, senza ammaccature e difetti estetici. Sono così perché i supermercati acquistano dai fornitori solo mele aventi queste caratteristiche, e sono disposti a pagarle anche qualche centesimo in più se il produttore gliele fornisce con queste specifiche. Ma le mele sugli alberi in realtà non nascono tutte uguali e perfette, come qualsiasi altro frutto o ortaggio. Se l’albero le produce tutte della stessa pezzatura e forma estetica, allora c’è sotto qualcosa di più, che come consumatori critici forse è bene sapere. 

I coltivatori per raggiungere questo risultato sono “costretti” ad usare delle sostanze chimiche particolari definite fitormoni, in grado di standardizzare la qualità estetica dei frutti. Questi agenti chimici sono noti anche come ormoni della crescita o, in gergo più tecnico e apparentemente innocuo e scientifico, “regolatori della crescita”. Ma lo dice la parola stessa se facciamo attenzione: regolano, modificano e forzano la crescita della pianta e dei frutti, in particolare possono fare diverse cose, a seconda della tipologia di prodotto che si sceglie di spruzzare in campo: aumentare la colorazione dei frutti, irrobustire i rami e i frutti, produrre frutti di calibro più grande, produrre frutti più lucidi e rotondi, aumentare lo spessore della buccia in modo che sia meno soggetta ad ammaccature, ritardare o accelerare la crescita del frutto, oppure far seccare e cadere i rametti più fragili della pianta che darebbero dei frutti più piccoli e meno belli esteticamente.

Il problema che però dovrebbe suscitare il nostro interesse, come consumatori attenti alla produzione e al consumo di cibo e quindi rispettosi della salute nostra e dell’ambiente, è che questi fitormoni, oltre ad imbellettare le mele, sono però riconosciuti dalla scienza come interferenti endocrini, sostanze capaci cioè di alterare [1]il nostro funzionamento ormonale, in particolare degli ormoni sessuali legati alla riproduzione e alla fecondazione. Inoltre queste sostanze svolgono la funzione di pesticida nella pianta, in grado di allontanare o uccidere gli insetti e gli uccelli interessati al frutto.

Tossicità dei regolatori della crescita delle piante negli esseri umani

I regolatori di crescita [2] delle piante sono attualmente tra i pesticidi più ampiamente utilizzati, in quanto si considera che abbiano una tossicità relativamente bassa rispetto ad altri pesticidi. Tuttavia, un uso diffuso può portare a una sovraesposizione negli esseri umani da molteplici fonti. L’esposizione è associata a diversi effetti tossici che colpiscono molti organi del nostro corpo, come la tossicità per testicoli, ovaie, fegato, reni e cervello. Esistono prove di tossicità riproduttiva e per lo sviluppo associate all’esposizione prenatale e postnatale sia negli animali che nell’uomo. I regolatori della crescita delle piante possono influenzare la sintesi e la secrezione degli ormoni sessuali, distruggere la struttura e la funzione dell’apparato riproduttivo e danneggiare la crescita e lo sviluppo della prole. Va saputo che tali ormoni della crescita si utilizzano da molti anni in tutta l’agricoltura intensiva industriale, senza eccezioni e per molti frutti e ortaggi. Parliamo di sostanze che vengono impiegate per esempio anche nella coltivazione di pomodori, peperoni, zucchine e melanzane. In Italia non sono così numerosi come in altri Paesi gli ormoni e i principi attivi ammessi nelle coltivazioni degli ortaggi e della frutta, ma sta di fatto che quei pochi ammessi si usano regolarmente nell’agricoltura industriale e il loro residuo passa dal cibo all’interno del nostro organismo. Anche se non sembra esserci una tossicità acuta, gli studiosi esprimono [3]dubbi e timori sul reale effetto di queste sostanze, ad oggi poco studiato e conosciuto nell’uomo.

Lo studio dell’Università di Zurigo che alimenta le preoccupazioni

Questo studio è stato pubblicato [4] a Maggio 2024 sulla rivista scientifica Agricultural economics. Gli autori dello studio parlano espressamente di «pesticidi cosmetici» e affermano che «l’uso di pesticidi solleva preoccupazioni a causa degli effetti negativi sulla salute e sull’ambiente, pertanto sono stati stabiliti ambiziosi obiettivi politici per la loro riduzione. Il ruolo dell’uso di pesticidi “cosmetici” non è ancora ben documentato e compreso. In questo studio, quantifichiamo l’uso di pesticidi cosmetici e l’influenza delle caratteristiche della filiera sul loro utilizzo. Ci concentriamo sulla produzione di mele da tavola, dove la qualità visiva dei prodotti è un aspetto chiave. Utilizzando un campione di 196 coltivatori di mele in Svizzera, scopriamo che il 23,5%-59,2% dei coltivatori utilizza pesticidi cosmetici per l’aspetto visivo delle mele. Le aziende agricole che commercializzano principalmente tramite intermediari hanno una probabilità maggiore del 23,9-29,6% di spruzzare pesticidi cosmetici per scopi visivi rispetto alle aziende agricole che commercializzano principalmente direttamente. I nostri risultati evidenziano il ruolo delle filiere di approvvigionamento nel processo decisionale degli agricoltori, raccomandando di prestare meno attenzione alla qualità visiva del prodotto, soprattutto negli ambienti di vendita al dettaglio, riducendo così al minimo i rischi inutili e irreversibili di esposizione ai pesticidi da parte degli agricoltori senza compromettere la sicurezza alimentare». Tra le osservazioni conclusive degli autori di questo studio vi è anche quella di «facilitare schemi di commercializzazione diretta, con filiere corte, che diano meno importanza alle caratteristiche visive delle mele da tavola, potrebbe rivelarsi utile per ridurre i rischi di pesticidi senza compromettere le rese». 

Infine, a scanso di equivoci, nessuna delle sostanze di cui abbiamo parlato in questo articolo è ammessa nelle coltivazioni in agricoltura biologica, sebbene nel BIO siano ammessi dei “pesticidi naturali”, con caratteristiche di tossicità su insetti e sull’uomo ben diverse rispetto ai pesticidi chimici, di sintesi, tipici dell’agricoltura industriale convenzionale e intensiva. Non a caso, quando acquistiamo delle mele BIO, oppure dal contadino locale che non fa produzioni il cui sbocco è la Grande Distribuzione, le mele sono solitamente di calibro e taglia differenti tra loro, sono più piccole, hanno segni e difetti nella buccia, non sono lucide e non sono tutte tonde come quelle industriali. E sono spesso più saporite e gustose di quelle del supermercato. Se sono così diverse un motivo ci sarà.

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Gianpaolo Usai

Educatore Alimentare, ha conseguito nel 2014 il Diploma di Nutrizione presso il College of Naturopathic Medicine (UK). Fondatore di ciboserio.it, il portale sulla spesa sana e l’educazione alimentare. Si occupa dello sviluppo di progetti di educazione alimentare in tutta Italia.