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Il Club Bilderberg torna a riunirsi a porte chiuse a Stoccolma

Transenne, camionette della polizia, barricate metalliche e agenti armati a presidiare ogni accesso. Attorno al Grand Hotel di Stoccolma, nel cuore della capitale svedese, si percepisce un clima di tensione. L’apparato di sicurezza è da zona rossa: la città si è blindata per accogliere la settantunesima edizione della Conferenza del Club Bilderberg, il summit più discusso (e taciuto) dell’élite globalista occidentale. Qui, lontano da occhi indiscreti e soprattutto da microfoni scomodi, si sono dati appuntamento i vertici della NATO, i commissari dell’Unione Europea, ministri e banchieri, capi dell’intelligence, insieme agli amministratori delegati delle più potenti multinazionali del pianeta.

Le riunioni del Gruppo rimangono un evento di quattro giorni estremamente riservato, frequentato dal gotha della politica e della tecnocrazia mondialista. Un incontro che dovrebbe catalizzare l’attenzione dei media globali. E invece? Il nulla. Nessuna troupe, nessun inviato, nessuna domanda, giusto qualche curioso, e qualche giornalista indipendente. Scorrendo la rassegna stampa internazionale, troviamo soltanto un breve articolo di Reuters [1], che prova a rassicurare i lettori descrivendo l’evento come una semplice piattaforma di dialogo euro-atlantica, e a spiegare che, secondo gli organizzatori, «la segretezza serve a permettere ai partecipanti di parlare liberamente in un clima di fiducia».

Una lettura minimalista che mal si concilia con l’ingente dispiegamento militare, il contenuto delle discussioni mantenuto rigorosamente secretato e l’impossibilità per la stampa indipendente di assistere ai lavori o quantomeno di averne resoconti accurati.

Fondato nel 1954, il Gruppo [2] è una sorta di “NATO economica”: lo si può considerare come il consiglio d’amministrazione delle oligarchie mondialiste, che incarna lo spirito più estremo del neoliberismo e della globalizzazione. The Times, nel 1977, lo descrisse come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso».

Quello a cui somiglia il Bildenberg, secondo molti detrattori, è un consesso dove si applica una logica neofeudale del potere: creare un potere economico mondiale, superiore a quello politico dei singoli governi nazionali, che ha il malcelato obiettivo di dettare l’Agenda globale.

Quello che è stato divulgato è che tra i temi all’ordine del giorno di quest’anno figurano: la guerra in Ucraina, la sicurezza nazionale, l’intelligenza artificiale, l’economia statunitense, l’industria della difesa, i minerali strategici. Facile ipotizzare che vi sarà spazio anche per parlare delle tensioni in Medio Oriente, acuite dall’attacco israeliano all’Iran [3]. Questioni che influenzano direttamente la vita di miliardi di persone e che, in una democrazia degna di questo nome, dovrebbero essere affrontate nei Parlamenti o sui tavoli istituzionali – non nei saloni ovattati di un hotel extralusso, lontano da ogni controllo democratico.

A confermare la portata dell’evento, basta scorrere la lista dei partecipanti [4]. Tra i nomi più rilevanti figura Mark Rutte, segretario generale della NATO e ospite d’onore del summit, fresco di missione in Italia – dove ha incontrato la premier Meloni e il vicepremier Tajani – per chiedere nuovi fondi militari. Ricordiamo che lo scorso dicembre l’ex capo della NATO, Jens Stoltenberg [5], è stato nominato nuovo co-presidente del Gruppo Bilderberg: la sua investitura consolida il ruolo del Gruppo nel cuore della strategia transatlantica. Il Bilderberg ha sempre avuto stretti legami con le forze armate: i suoi fondatori includevano alti membri dell’intelligence britannica e americana, e un precedente leader della NATO, Lord Carrington, ha presieduto il gruppo dal 1990 al 1998.

Tra i delegati nell’elenco di quest’anno figurano anche Satya Nadella, CEO di Microsoft, e Christopher Donahue, comandante dell’esercito statunitense per l’Europa e l’Africa. Presenti anche otto esponenti di spicco dell’Unione Europea: Luis Maria Albuquerque (servizi finanziari), Magnus Brunner (affari interni), Wopke Hoekstra (clima), Michael McGrath (democrazia), Maros Sefcovic (commercio), Nadia Calvino (BEI), Paschal Donohoe (Eurogruppo) e Sophie Wilmes (vicepresidente del Parlamento europeo).

Non manca la delegazione italiana. Spicca il ritorno di Mario Monti e di Enrico Letta, nomi noti nel firmamento europeista e già habitué del Bilderberg. Confermata anche la presenza del giornalista Stefano Feltri. La vera novità, però, è la partecipazione ufficiale di un membro del governo Meloni: Valentino Valentini, viceministro alle Imprese e al Made in Italy.

Il problema non è tanto che le élite si incontrino – lo fanno da sempre – quanto che lo facciano al riparo da ogni forma di controllo democratico, nell’assenza totale di trasparenza, tra complici silenzi e connivenze giornalistiche. Non è certo una teoria del complotto sottolineare che il Club Bilderberg rappresenti l’incarnazione del potere opaco: un consesso in cui le decisioni che cambieranno il mondo vengono prese rigorosamente a porte chiuse. Ed è proprio questo il punto: il problema non è  tanto che il Bilderberg esista, ma che nessuno ne parli – nemmeno quei giornalisti che vengono invitati a partecipare alle riunioni del Gruppo e che dovrebbero, in base alla deontologia professionale, riferire cosa accade dietro le quinte del potere anziché presenziarci solo per banchettare.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.