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Ridateci la realtà, riprendiamoci la realtà

Nel Sessantotto i manifestanti in corteo scandivano il celebre motto «L’immaginazione al potere!». Ora sembra invece necessario un nuovo senso della realtà, la presa diretta con i bisogni, con la vita di ogni giorno.

L’era della comunicazione ha facilitato, in un primo tempo, l’accesso all’informazione, ha determinato una particolare democrazia consistente nel poter avere a disposizione notizie, opinioni e interpretazioni, allargando la conoscenza dal ‘qui e ora’ a regioni lontane, sino al mondo intero. All’origine, nella seconda metà del Settecento in Gran Bretagna, i giornali di informazione avevano interessato e influenzato quasi soltanto i ceti superiori e commerciali urbani. I quotidiani erano semplicemente i portavoce prezzolati dell’uno o dell’altro partito. Soltanto dopo la metà del diciannovesimo secolo – osserva Richard D. Altick nel suo studio La democrazia tra le pagine (Il Mulino 1990) – «i quotidiani, divenendo sempre più importanti come mezzi di diffusione di messaggi pubblicitari, poterono gradualmente scrollarsi di dosso il controllo del governo o dei partiti per diventare voci indipendenti del sentimento pubblico» (p. 367).

Due secoli dopo eccoci invece alle prese con il controllo e la manipolazione generati proprio dalla pubblicità e con il noto fenomeno per cui l’enorme espansione dei media comunicativi, sino ai social media, ha prodotto, prima un enorme facilitazione nell’accesso all’informazione e poi  la sostituzione della realtà con la comunicazione, affastellando notizie e pseudo-notizie in modo tale da mettere perfino in secondo piano il problema del condizionamento.

Più i dati messi in circolazione non sono attendibili, più la percezione comune è che non esista una vera realtà. La manipolazione non è più appannaggio di chi ha il potere ma è diventato uno stile condiviso, un atteggiamento inarrestabile che rende il frastuono ingestibile. Si assiste a una crisi, a un crollo dei sistemi simbolici come se non fosse più possibile trasmettere parole, immagini, segni dotati di senso condiviso.

Nel 2013 il World Economic Forum (attenzione alla fonte!) ha sentenziato che una delle minacce più serie per la società è la diffusione massiccia di informazione fasulle. Ma abbiamo poi capito che il problema è invece che chi detiene il potere vuole avere l’esclusiva dell’influenza sul pubblico prodotta dalla falsificazione della realtà. Una falsificazione madre di tutti i controlli.

La gente viene accusata di far girare notizie, opinioni e commenti privi di senso, ingiuriosi, complottistici, distorti dal sentito dire, ma tutto questo, a mio parere, è la conseguenza del fatto che la maggioranza dei media tiene lontani utenti e persone dai fatti che realmente accadono. E anche che l’autorevolezza superstite è inficiata dal dubbio, dalla diffidenza.

Di qui la crisi del giornalismo, l’impotenza persino nel far accettare come corrispondente a fatti reali la documentazione fotografica, i servizi lanciati dai luoghi dove si svolgono gli eventi. Diciamo allora, anzi urliamo pure nei cortei: «Ridateci la realtà!» un diritto che, dati i tempi, sembra quasi una pretesa.

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Gianpaolo Caprettini

Ha insegnato all'Università di Torino dal 1975 al 2013, dove è stato professore ordinario di Semiotica dal 1994, poi di Semiologia del Cinema. Allievo e collega di Gian Luigi Beccaria, D'Arco S. Avalle e Adriano Pennacini, ha fondato nel 2003 Extracampus, la TV dell'Università dove ha diretto il Master di Giornalismo. Ha collaborato come consulente, autore e redattore alla Enciclopedia Einaudi, diretta da Ruggiero Romano. Ha scritto e curato numerosi libri e raccolte di poesie.