Rosignano Solvay non è soltanto una frazione del Comune di Rosignano Marittimo, un Comune in provincia di Livorno. È un paese nato interamente attorno al suo stabilimento chimico, al punto da portarne il marchio fin nel toponimo. Oggi conta circa 20 mila abitanti, ma la sua storia comincia nel 1912, quando prende forma il polo industriale fondato dai fratelli belgi Ernest e Alfred Solvay. La costruzione dello stabilimento segna l’inizio dello sviluppo urbano: le prime edificazioni sono le ville dirigenziali, affacciate sull’ingresso della fabbrica, seguite dal quartiere operaio, situato sul lato mare della ferrovia Livorno-Vada-Cecina. Da questo nucleo prende forma il paese, cresciuto nel tempo quasi interamente intorno alla fabbrica. Lo stabilimento non ha solo offerto lavoro a migliaia di persone: ha plasmato anche la vita sociale del territorio. Solvay ha costruito scuole, teatro, circoli ricreativi e spazi di aggregazione, contribuendo a modellare la quotidianità e l’identità della comunità operaia e delle generazioni successive. Lo stile architettonico degli edifici ricalca quello del Nord Europa, mentre l’assetto urbano dei primi decenni si distingue per una griglia regolare, priva di grandi spazi aperti o di un vero centro. Una scelta che alcuni leggono anche in chiave politica: un impianto urbano che scoraggia assembramenti e potenziali proteste.
Oggi la forza lavoro non è più quella di un tempo, e il tessuto industriale è cambiato. Il sito non è più esclusivamente Solvay: accanto alla storica azienda, si sono affermati altri attori, come la multinazionale britannica Ineos e diverse piccole e medie imprese. Nel bene e nel male, però, la storia di Rosignano Solvay resta inseparabile da quella della fabbrica che l’ha generata. Una città costruita attorno a un nome, che ancora oggi racconta la sua origine.
La narrazione di Solvay
«La sostenibilità è nel nostro DNA»: così si legge nella sezione dedicata all’ambiente sul sito ufficiale di Solvay. A corredo, un’immagine patinata: un prato verde brillante sullo sfondo di un impianto industriale dell’azienda. «Solvay si concentra sulla riduzione della sua impronta ambientale. Stiamo dando priorità alle azioni per ridurre le emissioni di gas serra e sostenere la biodiversità in tutto il mondo. Stiamo implementando piani d’azione per la biodiversità, migliorando la gestione dei rifiuti e dando priorità alla gestione dell’acqua», si legge ancora, in un linguaggio che ricalca quello ormai tipico della comunicazione green delle grandi multinazionali.
In un’altra pagina della stessa sezione compare l’immagine di una bambina che annaffia delle piantine in vaso. La didascalia recita: «In Solvay, stiamo lavorando attivamente per ridurre al minimo l’impatto delle nostre attività sulla natura. Ciò significa agire sia a livello locale che globale per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici, proteggere gli ecosistemi e prevenire la perdita della natura». Più avanti, un altro passaggio sottolinea: «L’acqua è essenziale per le nostre operazioni e siamo incrollabili nella nostra dedizione per aiutare a conservarla nelle aree in cui siamo attivi. L’aumento della siccità e delle condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo e i rischi ambientali e industriali associati ci hanno portato a creare piani d’azione per la conservazione dell’acqua».
Parole rassicuranti, immagini accattivanti. Ma per chi vive a Rosignano, tutto questo suona più che altro come una beffa. A dispetto dei proclami, la realtà racconta un’altra storia: quella di un territorio segnato da oltre un secolo di presenza industriale, che continua ancora oggi a lasciare tracce evidenti. Per gli abitanti, leggere questi messaggi è spesso percepito come uno schiaffo.
Per quanto condivisibili nelle intenzioni, queste dichiarazioni si inseriscono in quella pratica sempre più diffusa nota come greenwashing: una strategia di comunicazione adottata dalle aziende per costruirsi un’immagine ecologicamente responsabile, spesso in netto contrasto con il reale impatto delle proprie attività sull’ambiente. Più che uno sforzo concreto verso la sostenibilità, le parole appaiono come un’operazione di facciata, e per molti cittadini rappresentano non solo un’ingannevole narrazione, ma anche un’offesa alla propria esperienza quotidiana.
Le spiagge “caraibiche” di Rosignano

A Rosignano, Solvay scarica direttamente in mare i propri rifiuti solidi. Un fatto che stride fortemente con gli sbandierati concetti di sostenibilità, impronta ambientale, biodiversità, gestione dei rifiuti, conservazione dell’acqua e adattamento ai cambiamenti climatici. Le cosiddette «Spiagge Bianche», celebri per l’aspetto caraibico che attira turisti e fotografie da tutto il mondo, sono in realtà il risultato di decenni di sversamenti industriali. Un habitat morto, trasformato in discarica marina. Tutto questo avviene nel rispetto della legge, grazie a una deroga concessa dal Ministero dell’Ambiente che autorizza l’azienda allo sversamento.
Tra i materiali scaricati in mare, insieme a calcare e carbonato di calcio, si trovano sostanze altamente inquinanti: mercurio, arsenico, cadmio, nickel, piombo, zinco, dicloroetano, ammoniaca. Nel 2003, Solvay firmò con gli enti territoriali un accordo di programma che prevedeva una riduzione del 70% dei solidi sospesi scaricati in mare entro il 2007, passando da 200.000 a 60.000 tonnellate annue.
Nel 2008, l’associazione Medicina Democratica presentò un esposto alla Procura di Livorno, denunciando il mancato rispetto dell’accordo da parte dell’azienda, la presenza di quattro scarichi abusivi sconosciuti all’Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) e l’utilizzo di pratiche finalizzate a diluire i fanghi per aggirare i limiti di emissione previsti dalla normativa. Nel maggio 2013, la procura accertò lo scarico illecito di fanghi da parte di Solvay nell’area delle Spiagge Bianche, attraverso un sistema di condotte non mappate che permetteva di diluire sostanze come mercurio, piombo, selenio e fenoli, mantenendo i valori all’interno dei parametri di legge. L’azienda patteggiò e si impegnò in un’opera di bonifica del sito.
Secondo quanto dichiarato a L’Indipendente da Maurizio Marchi, storico attivista di Medicina Democratica, quella bonifica non è mai stata realizzata. Tuttavia, il Ministero dell’Ambiente ha continuato a rinnovare la deroga per lo scarico a mare: l’ultima è del 2022 [1], con limiti persino superiori a quelli stabiliti nell’accordo del 2003. Eppure, come racconta ancora Marchi, mentre le tappe intermedie previste tra il 2004 e il 2006 per la progressiva riduzione degli scarichi fallivano una dopo l’altra, la Regione Toscana erogava comunque 30 milioni di euro pubblici a Solvay in base allo stato di avanzamento dei lavori. «La Regione sapeva dell’inadempienza, ma pagava lo stesso. Qualunque persona onesta penserebbe a una truffa combinata ai danni dello Stato», ha dichiarato Marchi.
A questo si aggiungono numerosi episodi di sversamenti accidentali, in particolare di ammoniaca, avvenuti in seguito a blackout elettrici nello stabilimento, provocando la morte di interi banchi di pesci, poi spiaggiati lungo quella costa che, sotto l’apparenza esotica, nasconde una delle più grandi discariche industriali d’Italia.
Il più recente degli sversamenti di ammoniaca si è verificato il 29 agosto 2017, come denunciato da Medicina Democratica e Rete Ambientalista, oltreché riportato da diversi quotidiani nazionali e locali. La motivazione: un incidente avvenuto in sodiera confermato da Solvay a Il Tirreno, per il quale dai vertici aziendali si specificò di aver rispettato tutte le procedure necessarie, così come sostenuto anche da ARPAT, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana. Quest’ultima ha comunque rilevato una concentrazione di ammoniaca di 1,71 mg/l a 100 metri a nord dello scarico, informando Comune e ASL. I pesci sono poi stati analizzati presso la sede di Pisa dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per il Lazio e Toscana, risultando in eccessiva decomposizione per un’attenta analisi.
La sostenibilità costa, sversare no

Come ci ha raccontato Maurizio Marchi, da tempo Medicina Democratica e altri comitati locali chiedono la chiusura degli scarichi a mare e la realizzazione, all’interno dello stabilimento, di una vasca di decantazione per il trattamento dei rifiuti, in modo da evitare l’enorme impatto ambientale provocato dallo sversamento diretto. Perché Solvay continua a scaricare in mare? La risposta è semplice. Come mostrato dallo stesso Marchi, secondo uno studio condotto nel 2013 dalla sezione di Livorno e Val di Cecina di Medicina Democratica, negli ultimi quarant’anni — cioè da quando è stata introdotta la legge Merli — Solvay avrebbe risparmiato circa 1,4 miliardi di euro rispetto a un corretto smaltimento dei rifiuti in discariche autorizzate. La costruzione di una vasca di decantazione nel parco industriale comporterebbe inoltre un costo stimato in decine di milioni di euro.
La colorazione bianca assunta nel tempo dal mare e dalla sabbia è dovuta principalmente alla dispersione di calcare e carbonato di calcio. Di per sé non si tratta di sostanze pericolose, non fosse che sono accompagnate da metalli pesanti. Inoltre, la colorazione biancastra che impedisce ai raggi solari di penetrare in profondità unitamente al sedimento sul fondale marino dei rifiuti, rende impossibile la sopravvivenza della posidonia, una pianta marina fondamentale per l’equilibrio dell’ecosistema costiero. La prateria di posidonia ospita numerose specie animali e vegetali, contribuisce alla protezione naturale della costa dall’erosione ed è considerata un bioindicatore della qualità delle acque.
Quando abbiamo parlato con l’attuale sindaco di Rosignano, Claudio Marabotti, in carica dall’estate 2024 e a capo di una giunta composta da liste civiche e Movimento 5 Stelle, ci ha raccontato di colloqui avuti con la dirigenza locale e nazionale di Solvay. L’azienda avrebbe manifestato una generica disponibilità a valutare in futuro la chiusura degli scarichi, sostenendo di non avere particolari ostacoli in tal senso. Tuttavia non risulta che sia stata ancora presa alcuna iniziativa concreta in merito.
Secondo quanto riferito dal sindaco, la dirigenza Solvay ha inoltre fatto notare che, nel caso in cui gli scarichi venissero chiusi, nel giro di una quindicina d’anni le Spiagge Bianche scomparirebbero e il mare potrebbe arrivare fino alla ferrovia, a causa dell’assenza di quei sedimenti solidi che hanno modellato l’attuale litorale. In altre parole l’azienda sostiene che, scaricando in mare, non solo non causa danni ma anzi contribuisce positivamente alla stabilizzazione della costa. Abbiamo chiesto a Solvay un incontro, il quale è stato negato, concedendo solo la risposta in forma scritta alle nostre domande. Un carteggio nel quale l’ufficio stampa della multinazionale ribadisce la posizione: «Il calcare in polvere che rimane dal ciclo di produzione viene restituito al mare in tutta sicurezza, contribuendo a stabilizzare la riva delle Spiagge Bianche contro l’erosione».
Quello che non viene ammesso è però un dato incontrovertibile: quel materiale apparentemente inerte è accompagnato da metalli pesanti e altre sostanze inquinanti. Anche lo stesso rilascio di calcare altera profondamente l’equilibrio marino: il fondale si copre di sedimenti melmosi che impediscono la vita della posidonia. Il mare, pur se visivamente suggestivo e per questo meta a basso costo per set fotografici e pubblicità senza dover recarsi ai Caraibi, è di fatto biologicamente morto. Paradossalmente, la funzione naturale di protezione della costa è proprio quella che sarebbe garantita dalla prateria di posidonia, se solo potesse esistere. La natura, insomma, fornisce già la propria difesa. Solvay invece sostiene di essere lei a fare un favore ai cittadini.
Incalzata dalle nostre domande, l’azienda ha dovuto riconoscere la presenza di metalli pesanti, pur mantenendo la propria linea: «È importante notare che Solvay non utilizza né aggiunge metalli pesanti durante il processo di produzione. Il calcare naturale stesso, come molti tipi di roccia o pietra, contiene naturalmente tracce di metalli pesanti, ma questi rimangono imprigionati allo stato solido nel calcare. Le autorità locali e regionali confermano che la qualità dell’acqua vicino all’impianto soddisfa elevati standard ed è coerente con il resto della costa toscana».
Sul punto specifico della scomparsa della posidonia e della sua relazione con il cosiddetto “mare bianco”, però, nessuna risposta.
La presenza di metalli pesanti in mare, in realtà, è accertata da decenni, come dimostrano numerosi studi, tra cui quelli del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Già nel 1999, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) aveva inserito i 14 chilometri di litorale di Rosignano tra le aree più inquinate del Mediterraneo. Una situazione citata anche in un’interrogazione del 2021 posta alla Commissione Europea da alcuni eurodeputati del Movimento 5 Stelle — Massimo Castaldo, Chiara Gemma, Dino Giarrusso e Daniela Rondinelli — in cui si chiedeva come fosse possibile che Solvay rientrasse tra le aziende con i più alti rating ESG (Environmental, Social and Governance), mentre Rosignano risultava [2]uno dei luoghi più inquinati del Mediterraneo. Per l’occasione, si sollecitavano controlli e verifiche più stringenti. Richieste che rischiano oggi di essere vanificate dal nuovo corso politico della Commissione Europea sul Green Deal, che in nome della semplificazione e della competitività sta facendo marcia indietro su molte politiche ambientali.
Mesotelioma, cardiopatie, Alzheimer: lo studio epidemiologico mancante
L’impatto ambientale di Solvay non riguarda solo gli scarichi a mare ma anche le emissioni in atmosfera. Anche le osservazioni inviate all’Italia dalla Commissione Europea — con i quali si dava parere favorevole allo stanziamento di aiuti di Stato a Solvay per l’ammodernamento dell’impianto di produzione del cloro per un valore di 13,5 milioni di euro — confermano indirettamente l’inquinamento da mercurio presente in mare e nell’aria: «Dal punto di vista ambientale il principale vantaggio offerto dal processo a membrana rispetto al processo a catodo di mercurio per la produzione di cloro consiste nell’eliminazione degli scarichi idrici e delle emissioni atmosferiche di mercurio. Il mercurio è un metallo tossico, nocivo per la vita delle persone e degli animali. Lo stabilimento esistente emette 0,0565 kg di mercurio all’anno nell’atmosfera e ne scarica circa 0,1 t all’anno nell’acqua. Inoltre, verranno completamente eliminati i fanghi il cui volume annuo attualmente è pari a 32,94 t/anno», è quanto scrive la Commissione Europea nel 2005. Il nuovo impianto è poi entrato in funzione nel 2007. Il forte inquinamento dell’aria e del mare era stato anche oggetto di un’inchiesta condotta dalla giornalista Adele Grossi per Report nel 2019.

Nel 2016 l’attuale sindaco di Rosignano, Claudio Marabotti — cardiologo di professione — condusse insieme a Paolo Piaggi, Paolo Scarsi, Elio Venturini, Romina Cecchi e Alessandro Pingitore uno studio ecologico comparativo tra Rosignano Solvay e Cecina, due aree geograficamente vicine ma con livelli molto diversi di inquinamento ambientale. L’obiettivo era verificare l’incidenza della mortalità per malattie cronico-degenerative rispetto alla media regionale della Toscana. Dallo studio emerse che in tutta la Bassa Val di Cecina i tassi standardizzati di mortalità risultavano significativamente più alti per patologie come mesotelioma, cardiopatie ischemiche, malattie cerebrovascolari, Alzheimer e altre malattie neurodegenerative. Nel Comune di Rosignano, in particolare, fu riscontrato un eccesso significativo di mortalità per tutte queste patologie. I risultati suggerivano un possibile legame causale tra la vicinanza agli impianti industriali — e agli altri siti inquinanti presenti nella zona — e l’aumento della mortalità, indicando quindi un potenziale ruolo patogenetico delle sostanze inquinanti.
Per confermare questa ipotesi sarebbe stato necessario uno studio epidemiologico sulla popolazione. Uno strumento più preciso, richiesto da tempo da comitati e cittadini, ma mai realizzato per l’inerzia delle istituzioni pubbliche. Ora, però, la nuova giunta guidata da Marabotti ha dato il via libera all’avvio dello studio. Il sindaco ci ha riferito che le pratiche per l’affidamento dell’incarico sono state avviate e che lo studio epidemiologico sarà condotto dai laboratori del CNR di Pisa.