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Riflessioni sul referendum per il diritto alla cittadinanza

Avevo 17 anni e avrei voluto partire per la Francia, per festeggiare il compleanno di una mia amica. Un viaggio, una piccola fuga, il sogno di ogni adolescente. Ma non potevo. Il mio passaporto somalo non mi permetteva di attraversare i confini. Nonostante fossi nata a Milano, avessi vissuto qui per tutta la vita, avessi parlato italiano da sempre, avessi studiato nelle scuole italiane, il documento che portavo con me non mi riconosceva come cittadina. La legge mi separava dalla mia stessa identità, dalla mia stessa casa. Non sono andata. Ogni anno, fino ai 18, c’era quel giorno in cui, invece di andare a scuola, mi trovavo in fila per rinnovare il permesso di soggiorno. 

Ogni anno, lo stesso rituale: un appuntamento con una burocrazia che mi ricordava che, nonostante fosse la mia vita, non ero mai completamente riconosciuta come parte di questa nazione. La mia identità non corrispondeva a quella che la legge riteneva “italiana”, e il mio status sembrava sempre rimanere in attesa di una conferma che non arrivava mai. A 18 anni, finalmente, sono diventata italiana. Ma oggi, mentre io posso raccontare questa storia con un lieto fine, oltre un milione di bambini e ragazzi nati o cresciuti in Italia stanno ancora aspettando quel riconoscimento. In Italia, quasi un bambino su dieci è figlio di genitori stranieri. Più di 877.000 minori nati o cresciuti qui non hanno la cittadinanza. Studiano nelle nostre scuole, parlano il nostro dialetto, condividono le stesse esperienze dei loro coetanei italiani — ma non sono considerati parte del Paese che chiamano casa. 

Come Still I Rise, lavoriamo ogni giorno in scuole da Nairobi ad Aden, da Kolwezi a Bogotà. E ovunque, la storia si ripete: senza documenti, i minori restano invisibili. Solo pochi mesi fa, uno dei nostri studenti rifugiati ha superato un’audizione per uno spettacolo teatrale in Italia. Sarebbe dovuto salire su un palco, recitare in una lingua che non era la sua, dimostrare che l’arte può superare ogni confine. Ma quel confine è rimasto chiuso. Senza passaporto, non è potuto venire. 

È accaduto in Colombia. Ma accade anche qui. La cittadinanza negata e la mancanza di documenti rappresentano una barriera globale. In Italia, ci sono adolescenti che non possono partecipare a una gita scolastica all’estero, bambini esclusi da concorsi, giovani che non possono firmare una petizione per una causa in cui credono. Perché la legge sulla cittadinanza è ferma al 1992, quando il mondo — e l’Italia — erano profondamente diversi. Il referendum che ci attende è un’opportunità concreta per cambiare tutto questo. La proposta di riforma introduce un nuovo modello di cittadinanza: il diritto di diventare cittadini italiani per chi vive legalmente in Italia da almeno cinque anni. Il cambiamento riguarda anche i figli minori di chi ottiene la cittadinanza, permettendo loro di essere riconosciuti come parte del Paese in cui stanno crescendo. Non si parla più solo di origine o di documenti, ma di un legame reale con il territorio, costruito giorno dopo giorno attraverso il lavoro, la scuola, le relazioni, la vita quotidiana. Un percorso fatto di appartenenza. Di radici. 

Il referendum riguarda circa 1,1 milioni di giovani. Ma l’impatto va ben oltre quel numero: coinvolge famiglie, scuole, comunità intere. Con un SÌ, si permette a questi ragazzi di fare ciò che per molti è scontato: iscriversi a una squadra sportiva, firmare un contratto, viaggiare con i compagni di classe, sentirsi finalmente parte della società in cui sono cresciuti. 

Perché la cittadinanza non è solo un diritto individuale. È un patto collettivo. È il diritto di partecipare, a pieno titolo, alla vita del Paese. Di poter andare in gita con la propria classe. Di iscriversi a un concorso. Di prendere un aereo. Di non sentirsi “ospiti” nella propria casa. Votare SÌ alla riforma significa riconoscere questo patto. Noi, come Still I Rise, voteremo SÌ. Lo faremo per tutti quei bambini e ragazzi che ogni giorno incontriamo nelle nostre classi. Lo faremo perché crediamo che l’identità non si imprima solo su un passaporto, ma viva nella lingua che si sogna, nei ricordi che si costruiscono, nei luoghi che si chiamano “casa”. Per un Paese che cresce senza lasciare nessuno indietro. Perché ogni ragazzo e ragazza ha il diritto di brillare.

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Still I Rise

Still I Rise è un’organizzazione no-profit internazionale, che offre istruzione di eccellenza ai bambini profughi e vulnerabili in vari Paesi, con l’obiettivo di porre fine alla crisi scolastica globale. Completamente indipendente, Still I Rise è stata fondata nel 2018 ed è guidata da Nicolò Govoni.