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Corruzione a Venezia: la Procura chiede che il sindaco Brugnaro vada a processo

La Procura di Venezia ha chiesto il rinvio a giudizio per il sindaco Luigi Brugnaro e altre 34 persone nell’ambito dell’inchiesta “Palude”, che ipotizza un vasto sistema corruttivo. Al centro ci sono le trattative per la vendita al magnate singaporiano Ching Chiat Kwong dell’area dei Pili, acquistata da Brugnaro prima del suo ingresso in politica, e di Palazzo Papadopoli, ceduto a un prezzo inferiore al valore stimato allo stesso Ching. Rischiano il processo anche direttore generale e il vicecapo di gabinetto di Ca’ Farsetti, Morris Cerron e Derek Donadini, nonché l’ex assessore Renato Boraso, accusato di aver incassato una tangente da 73mila euro. L’inchiesta tocca anche appalti pubblici, progetti edilizi e operazioni urbanistiche.

Nella richiesta formulata al gip, i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini hanno confermato l’impianto accusatorio principale, ipotizzando il reato di corruzione a carico di Brugnaro e di vari esponenti della sua squadra. Le operazioni al centro della lente dei magistrati sono collegate: l’area di 41 ettari dell’area dei Pili, zona fortemente inquinata accanto a porto marghera, era stata intestata alla società “Porta di Venezia”, che nel 2017 confluì in un blind trust, e proposta al magnate Ching a un prezzo di un centinaio di milioni di euro al fine di sviluppare un progetto edilizio in cambio della promessa di un aumento di cubatura. Contestualmente, secondo i pm, il rappresentante in Italia di Ching, Luis Lotti, avrebbe anche concordato con Brugnaro, Donadini e Ceron di fare abbassare la valutazione dello storico Palazzo Papadopoli, comprato da una società di proprietà di Ching. Proprio nella cornice di questa operazione, ha ricostruito la Procura, sarebbe stata pagata una tangente da 73mila euro all’ex assessore Renato Boraso, che è stato arrestato nel luglio 2024. Quest’ultimo, secondo quanto attestato dal giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza nel luglio scorso, avrebbe «sistematicamente mercificato la propria pubblica funzione, svendendola agli interessi privati». Vari imprenditori sono infatti accusati di averlo pagato con consulenze immobiliari fittizie in cambio del suo aiuto a far avanzare i propri progetti grazie a pressioni sui funzionari comunali. In alcuni casi si procede per corruzione, in altri per turbativa d’asta. Boraso ha già patteggiato un totale di 3 anni e 10 mesi per alcune accuse.

In seguito alla richiesta di rinvio a giudizio, le opposizioni si mostrano unite nel chiedere un passo indietro a Brugnaro. «Da anni denunciamo con forza in Consiglio Comunale il conflitto di interessi del sindaco, la gestione privata della cosa pubblica – ha dichiarato [1] Monica Sambo, segretaria comunale del Partito Democratico –. Oggi, con la chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio del sindaco, è ancora più urgente un gesto chiaro di responsabilità e, per una volta, di amore nei confronti di Venezia. Le forze politiche che hanno sostenuto Brugnaro fino a oggi non possono più fare finta di niente: devono smarcarsi da questo sistema, assumersi la responsabilità politica e voltare pagina». Sulla stessa scia la capogruppo del Movimento 5 Stelle al Consiglio regionale, Erika Baldin, la quale ha affermato [2] che «proprio per tutelare il massimo bene di Venezia, è opportuno che il sindaco rassegni quanto prima le sue dimissioni, in modo da potersi difendere nel processo e aprire così una stagione nuova alla guida della città».

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.