Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha annunciato lo scioglimento e la fine della lotta armata. La notizia arriva a seguito della dichiarazione finale del 12° congresso del partito, convocato dallo storico leader Abdullah Öcalan con una lettera dal carcere. La soluzione raggiunta dal partito ricalca quanto richiesto dallo stesso Öcalan: superare la retorica «ultranazionalista» di costituire uno Stato curdo in favore di una riorganizzazione «democratica» in cui curdi e turchi possano vivere sotto la stessa bandiera. Con la dichiarazione giunge così a compimento il più grande tentativo di riconciliazione mai avviato tra Turchia e PKK, in quella che è una delle più longeve lotte per la liberazione degli ultimi decenni.
Il Congresso del PKK si è tenuto dal 5 al 7 maggio, in due diverse sedi. Agli incontri hanno partecipato 232 delegati, che hanno discusso temi quali «la leadership, i martiri, i veterani, l’esistenza organizzativa del PKK e il metodo per porre fine alla lotta armata e costruire una società democratica». Alla chiusura del congresso, sono stati preannunciati lo scioglimento e l’abbandono delle armi da parte del PKK, confermati oggi, lunedì 12 maggio, con la pubblicazione della dichiarazione ufficiale [1]. Con essa, il partito ripercorre la propria storia di lotta sin dalle origini, spiegando come, a partire dalla nuova apertura dei dialoghi, sia emersa l’esigenza di superare la prospettiva tradizionale del nazionalismo curdo, puntando piuttosto a realizzarne i principi all’interno della stessa Turchia. «Il PKK ha rotto la politica di negazione e anti-demolizione, ha portato il problema curdo verso una soluzione e ha completato la sua missione storica», si legge nella dichiarazione.
Con lo scioglimento del partito, il popolo curdo «costruirà la propria organizzazione in tutti i campi sotto la guida delle donne e dei giovani, si organizzerà con le proprie lingue, le proprie identità e le proprie culture su basi sufficienti, potrà difendersi dagli attacchi e costruire una vita democratica e comunitaria con lo spirito di mobilitazione», prosegue la dichiarazione. Non sono ancora chiare le modalità con cui verranno portati avanti questi obiettivi, ma perché ciò avvenga occorre che «il leader Apo [ndr. nome con cui viene chiamato Öcalan] gestisca e diriga il processo» e che vengano assicurati «il riconoscimento dei diritti della politica democratica e una sana garanzia legale» al popolo curdo. Per tale motivo, l’Assemblea Nazionale della Turchia ricopre un ruolo cruciale di «responsabilità storica», e con essa tutte le istituzioni civili, politiche e religiose, verso cui il PKK ha lanciato un appello. Su questa stessa base, il PKK ha esteso l’appello anche ai movimenti internazionali.
L’annuncio del PKK arriva al termine di un processo di riapertura dei dialoghi iniziato nella fine del 2024. Tutto è partito con un’apertura da parte di Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, il più grande alleato esterno del presidente turco. Bahçeli ha chiesto a Erdoğan di aprire un colloquio con Öcalan per porre fine al conflitto, che durava da oltre trent’anni, suggerendo la possibilità di liberare il fondatore del PKK in cambio di un suo eventuale ordine di deporre le armi. A dicembre, è stato ufficialmente rotto l’isolamento [2] del leader del PKK, che ha ricevuto una visita di due deputati di DEM, il principale partito curdo del Paese. I colloqui si sono così fatti sempre più serrati, fino a quanto il 27 febbraio, dal carcere, Öcalan ha lanciato uno storico annuncio [3] in cui ha chiesto a tutte le firme curde di abbandonare le armi e indire un congresso per deliberare uno scioglimento. Poco dopo, il PKK ha annunciato un cessate il fuoco temporaneo e organizzato il congresso richiesto da Öcalan.
Il conflitto tra Turchia e popolo curdo va avanti da 40 anni e ha causato circa 55.000 morti. Esso ha ampie ripercussioni sull’intera regione mediorientale, e in particolare sulla Siria, dove dodici anni fa è iniziata la rivoluzione del Rojava [4] con la rivolta della città di Kobane. Il Kurdistan è infatti una regione montuosa compresa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. I curdi costituiscono il più vasto popolo senza nazione al mondo (sono circa 30 milioni) e non sono riconosciuti dalla Turchia, che fino agli anni ’90 li chiamava “turchi di montagna”.