Tra le colline romagnole, nell’entroterra lontano dal mare, nel Comune di Bagno di Romagna (provincia di Forlì-Cesena) c’è una diga. È alta 103 metri e ha una larghezza di 432. La sua costruzione, oltre a garantire l’approvvigionamento idrico di tutto il territorio, ha creato un enorme lago artificiale in un contesto naturalistico affascinante, tra alberi secolari, sentieri e fauna selvatica. È uno dei luoghi preferiti dai romagnoli per un’escursione in collina poco distante da casa. La diga di Ridracoli, così si chiama, è tra le più grandi in Italia e contiene circa 33 milioni di metri cubi d’acqua.
In Emilia-Romagna, tra il 1° e il 17 maggio 2023, sono caduti 4,5 miliardi di metri cubi d’acqua. In pratica, è come se quella stessa diga si fosse rovesciata sul territorio non una ma ben 128 volte in due settimane. 4,5 miliardi di metri cubi d’acqua su una porzione di territorio di 16 mila chilometri quadrati. Il picco massimo si è registrato tra il 16 e il 17 maggio, quando sono esondati quasi contemporaneamente 24 fiumi, in particolare quelli che attraversano i principali centri abitati: il Savio a Cesena, il Montone a Forlì, il Lamone a Faenza e a Ravenna. In poche ore, il livello dell’acqua è salito fino a invadere le città, fuoriuscendo dagli argini, rompendoli, o risalendo dalle fognature, soprattutto dove le abitazioni sono state costruite sotto il livello dei fiumi.
Anche chi si trovava in zone della città risparmiate dall’acqua ricorda perfettamente l’angoscia della notte tra il 16 e il 17 maggio, passata ad ascoltare i messaggi di aiuto di amici e parenti nelle chat di gruppo, bloccati ai piani superiori delle case, con l’acqua che continuava a salire. Il bilancio finale di quei due giorni è stato di 17 morti. I danni stimati superano gli 8,8 miliardi di euro. Numeri impressionanti che tuttavia raccontano solo una parte della storia. Soprattutto perché, in Romagna, nulla è ancora finito. Anzi, i problemi sembrano appena iniziati
Le alluvioni

Tutti ricordano i giorni più drammatici, quelli del 16 e 17 maggio, quando anche i media nazionali iniziarono a dare forte risalto alla notizia degli allagamenti in Romagna. In realtà, già a inizio maggio, un’altra alluvione aveva messo Faenza sott’acqua. Poi, nell’autunno del 2024, si sono verificati altri due eventi, a distanza di appena un mese: il 18 e 19 settembre e il 19 e 20 ottobre, quando furono colpiti duramente Bologna e il suo entroterra collinare, assieme – ancora una volta – alla campagna ravennate. È per questo che in Romagna non si parla più di alluvione, ma di alluvioni, al plurale. E lo si fa sempre al presente. Non come un episodio passato, ma come un fenomeno attuale, con cui si continua a fare i conti ogni giorno. La maggior parte degli interventi realizzati finora sembra però essere in grado di rispondere solo alle emergenze immediate. Lo sanno bene, ad esempio, i cittadini di Traversara di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna. Nel 2023, l’argine del fiume Lamone aveva retto alla furia dell’acqua e il paese era stato allagato solo parzialmente. Nell’autunno del 2024, però, le sponde hanno ceduto e il fiume ha invaso le case. Ora l’apprensione è tale che ogni volta che piove per più di un giorno arriva un’ordinanza di evacuazione dal Comune e i cittadini trascorrono la notte da parenti o amici, senza sapere se al mattino troveranno ancora la loro casa. L’ultima volta è successo a marzo, meno di due mesi fa. A Villanova, poco distante, le piogge recenti hanno aperto grosse crepe negli argini e i residenti temono che un nuovo diluvio possa far crollare tutto. Il Comune è intervenuto rattoppando le spaccature ma la paura resta.
Anche nelle zone collinari la situazione è ancora critica. Molte strade, distrutte o bloccate dalle frane del maggio 2023, non sono mai state completamente ripristinate. Il Comune di Modigliana, in provincia di Forlì-Cesena, è stato colpito da quasi 7000 frane. Gli interventi d’emergenza hanno permesso di riaprire almeno in parte la viabilità, ma ogni volta che piove il terreno continua a muoversi. Parliamo di zone dove la chiusura di una strada può isolare decine di case o allungare di un’ora il tragitto verso la scuola o il lavoro. Situazioni d’emergenza che, da due anni, sono diventate normalità.
Il cambio di passo
Da una parte i lavori urgenti per rafforzare gli argini e fermare le frane, dall’altra i piani a lungo termine per mettere in sicurezza il territorio da nuove piogge. In mezzo, i cittadini che hanno perso tutto e aspettano ancora i rimborsi. Sono questi i tre fronti su cui si muovono da due anni Comuni, Governo e Regioni. Con grandi difficoltà. Da qualche mese sono cambiate le due figure fondamentali alla guida della macchina organizzativa: il presidente della Regione, Michele de Pascale, ha sostituito Stefano Bonaccini, mentre Fabrizio Curcio è diventato commissario straordinario all’alluvione al posto del generale Figliuolo, criticato per la scarsa presenza sul territorio. Il cambio al vertice è stata l’occasione per annunciare un “cambio di passo”: niente più commissari in smart working e fondi erogati col contagocce, ma più presenza sui luoghi dell’emergenza e interventi rapidi.

«Un piccolo miglioramento c’è stato – spiega Alessandra Bucchi del Comitato Vittime del Fango di Forlì – soprattutto per quanto riguarda il dialogo con le istituzioni. Ma resta il fatto che, dopo due anni, stiamo ancora aspettando i rimborsi e i piani speciali per la messa in sicurezza del nostro quartiere». L’attesa dei piani speciali in Romagna viene ormai raccontata come una barzelletta. Parliamo di interventi strutturali, da 4,5 miliardi di euro, per migliorare il deflusso dei corsi d’acqua, creare casse di laminazione e gestire le piene. Insomma, tutto ciò che serve per evitare che una nuova alluvione faccia esondare i fiumi dentro alle case per la quinta volta. Ma il piano non è ancora stato approvato dalla struttura commissariale. Senza quello, si può solo rattoppare.
«Sono due anni che ne sentiamo parlare – continua Bucchi – doveva uscire a luglio dell’anno scorso, poi più nulla. Ci hanno detto che dovrebbe essere pubblicato a breve, ma nel frattempo è passato un altro mese e mezzo». L’impazienza è tale che alcuni comitati hanno iniziato a presentare progetti autonomi. Nel quartiere Borgo di Faenza, la zona più colpita dalle inondazioni, i cittadini hanno scoperto che la Regione aveva commissionato già nel 2010 uno studio per creare un’area di laminazione del fiume Lamone. «Sono 15 anni che quel progetto giace nei cassetti – spiega Wilmer Della Vecchia, membro del comitato Borgo Alluvionato – se fosse stato attuato, non ci saremmo allagati due volte, a maggio 2023 e poi a settembre 2024». Il comitato ha lanciato una raccolta firme per sollecitare la Regione a riprendere il progetto, ma la risposta è sempre la stessa: prima servono i piani speciali.
A Borgo, chi abita al piano terra è ancora fuori casa, dopo l’ennesimo allagamento di settembre. Solo nel maggio 2023, in tutta l’Emilia-Romagna, si contano oltre 70.000 abitazioni danneggiate. Eppure i fondi del Governo sono stati erogati col contagocce, anche a causa della lentezza delle pratiche. «Qui chi ha ricevuto di più ha avuto 5000 euro come contributo di immediato sostegno – continua Della Vecchia – per ottenerne altri 5000 deve aspettare che si asciughino i muri e rendicontare tutte le spese». Diecimila euro su spese che spesso arrivano anche a 100.000. «Presentare domanda è complicatissimo – conferma Alessandra Bucchi da Forlì – servono tantissime perizie, i tecnici sono pochi e chi ha subìto danni per 100.000 euro deve anticiparne almeno la metà di tasca propria prima di chiedere il rimborso. Non tutti possono permetterselo. Abbiamo chiesto alla struttura commissariale di poter effettuare i pagamenti attraverso un sistema di rate parziali (SAL) ma non ci è mai stata data risposta».
Una decisione difficile
Nelle prossime settimane, alcuni abitanti delle zone più colpite potrebbero dover affrontare una nuova scelta: restare, col rischio di allagarsi di nuovo, o abbandonare per sempre le loro case. La Regione sta lavorando a un decreto sulle delocalizzazioni: chi deciderà volontariamente di lasciare casa riceverà un rimborso. Ma chi rifiuterà, non potrà più chiedere indennizzi in caso di nuovi allagamenti. Nella prima bozza del decreto, già compilata ai tempi del commissario Figliuolo, si parlava di 1800 euro a metro quadrato, cifra giudicata del tutto insufficiente. Ora si tratta col governo per aumentarla, ma non è chiaro chi potrà accedere al provvedimento.
Il presidente De Pascale ha spiegato che, almeno in una prima fase, il decreto riguarderà solo le situazioni più critiche: zone collinari ad altissimo rischio frane e abitazioni costruite nelle golene dei fiumi, come alcune case di Traversara, allagate tre volte dal Lamone nel giro di un anno e mezzo. Anche in questo caso, tuttavia, tutto resta incerto finché il decreto non sarà pubblicato.
Rincorrere l’emergenza
Pulizia dei corsi d’acqua, rinforzo degli argini, casse di espansione e delocalizzazioni nelle aree più a rischio: sono queste, in sintesi, le risposte parzialmente messe in campo finora. Ma tutte condividono lo stesso limite: affrontano le conseguenze, non le cause profonde. In Emilia-Romagna si è costruito troppo, ovunque. Il terreno, coperto da strati di cemento e asfalto, non riesce più ad assorbire l’acqua, soprattutto durante i violenti temporali sempre più frequenti e intensi a causa del cambiamento climatico.
«L’attuale modello ha sfruttato il suolo, costretto i fiumi e costruito edifici in maniera eccessiva – spiega il meteorologo di ARPAE Emilia-Romagna, Federico Grazzini – bisognerebbe fare l’esatto contrario: fermare l’urbanizzazione». Non esiste una bacchetta magica per tornare indietro, ma serve una visione coraggiosa, a lungo termine, che cambi radicalmente il rapporto con il territorio. Purtroppo, però, di quella visione oggi non c’è traccia. Anzi, nonostante una legge urbanistica regionale che dovrebbe teoricamente limitare il consumo di suolo, nel 2023 l’Emilia-Romagna è stata ancora una volta la seconda regione d’Italia dove si è costruito di più. Ed è così che si continua a rincorrere l’emergenza, tampone dopo tampone, mentre la terra sotto i piedi – e sotto le case – continua a cedere. Perché il vero problema non è la pioggia che cade, ma ciò che l’aspetta quando tocca terra.