Non solo esistono alcune regioni del nostro DNA che mutano significativamente, ma ne esistono diverse che lo fanno a velocità sorprendenti e, soprattutto, decisamente superiori a quanto ipotizzato finora: è quanto emerge da un nuovo studio guidato da un team internazionale di ricercatori delle Università dello Utah e di Washington, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Attraverso l’analisi del DNA umano di quattro generazioni di una stessa famiglia che ha deciso di condividere i propri dati genetici dagli anni ’80, i ricercatori hanno realizzato quello che ritengono un “atlante genetico senza precedenti”, il quale identifica regioni del genoma “quasi intoccabili” fino ad ora, dove le mutazioni si presentano con una frequenza altissima, in certi casi quasi una per nuova generazione. Si tratta di scoperte che, secondo gli esperti, aprono nuove prospettive sia nello studio dell’evoluzione che in quello delle malattie genetiche, in quanto potrebbero aiutare a valutare meglio i rischi per le generazioni future. «Sono le mutazioni che in ultima analisi ci differenziano dalle altre specie», ha commentato la genetista e coautrice Lynn Jorde.
Per decenni, spiegano gli scienziati, gli studi sulla mutazione del DNA umano si sono concentrati sulle aree del genoma più facili da analizzare, tralasciando quelle più instabili e complesse come i cosiddetti centromeri o le regioni ripetute. Per questo motivo, i ricercatori hanno deciso di provare a colmare questa lacuna e, in particolare, lo hanno fatto sfruttando cinque diverse tecnologie di sequenziamento per ottenere una mappa ad altissima risoluzione delle variazioni genetiche in una famiglia dello Utah, la stessa che dagli anni ’80 collabora con tali esperti. I genomi dei 28 membri, distribuiti su quattro generazioni, sono stati sequenziati e confrontati per identificare le cosiddette mutazioni “de novo”, cioè quelle non presenti nei genitori ma comparse nei figli. Questo confronto diretto ha permesso di determinare con precisione la frequenza delle nuove mutazioni e di osservarne la trasmissione tra le generazioni, analogamente a quanto la “velocità della luce” permette in fisica, spiegano i coautori.
In particolare, secondo i risultati [1] ogni persona presenterebbe in media circa 200 mutazioni genetiche non ereditarie rispetto ai propri genitori, di cui molte localizzate in regioni del genoma difficili da esaminare con le tecnologie tradizionali. Includono cambiamenti singoli di base, ma anche piccole inserzioni e delezioni, alterazioni strutturali complesse e variazioni nei tratti ripetuti del DNA. Alcune aree, inoltre, risultano talmente instabili da presentare mutazioni quasi a ogni generazione, mentre in molti casi tali variazioni sono sorte nei cosiddetti “punti caldi” del DNA e non sono state ereditate, il che implicherebbe un rischio minore per le famiglie di trasmettere malattie genetiche a più figli. «Abbiamo visto parti del nostro genoma incredibilmente mutevoli. Quasi una mutazione ogni generazione», ha spiegato [2] Aaron Quinlan, genetista e coautore dello studio. La ricerca, infine, ha anche rivelato una forte predominanza delle mutazioni di origine paterna, e l’influenza dell’età del padre sul numero di variazioni genetiche: secondo i risultati l’81,4% delle mutazioni “de novo” germinali avrebbe origine paterna, e ogni anno in più del padre è mediamente associato a 1,55 mutazioni germinali aggiuntive. In tutti i casi, si tratta di dati resi pubblici che, secondo gli autori, costituiranno una risorsa tutt’altro che indifferente per gli studi futuri: «Ci aiuta a comprendere la variazione e i cambiamenti del genoma nel corso delle generazioni in modo incredibilmente dettagliato. Anche se rimane una domanda: Quanto sono generalizzabili questi risultati tra famiglie diverse quando si cerca di prevedere il rischio di malattie o l’evoluzione dei genomi?», concludono i ricercatori.