sabato 7 Dicembre 2024

Alluvioni in Spagna: le responsabilità politiche dietro al disastro

A cinque giorni dall’alluvione che ha colpito alcune aree della Comunità Valenziana, della comunità di Castiglia e la Mancia, del sud della Catalogna e dell’Andalusia, il conteggio delle vittime, al momento 213, non accenna a fermarsi. Nella giornata di domenica 3 novembre, A Paiporta, uno dei paesi maggiormente colpiti dal passaggio della Dana, una delegazione istituzionale, composta dai reali Felipe VI e Letizia, dal presidente del governo Pedro Sánchez e dal presidente della Comunità Valenziana Carlos Mazón, è stata attaccata con fango e oggetti dalla popolazione accorsa per protestare

«Assassini, assassini». Così sono state accolte le principali figure istituzionali dello stato spagnolo e della Comunità valenziana. A poco sono valse le parole di conforto che il re Felipe VI ha rivolto ad alcuni abitanti di Paiporta, ancora intenti a spalare il fango e i detriti dalle proprie case e dalle strade del paese.

Difatti, nonostante sia già iniziato l’imbarazzante scaricabarile tra rappresentanti del governo centrale e le rispettive opposizioni, a quasi una settimana dal disastro le responsabilità sulla prevenzione prima, e sulla gestione degli interventi dopo, sono chiare.

Seppur il presidente valenziano Carlos Mazón abbia dichiarato che la causa principale del ritardo nei servizi di allerta sia stata il «cambio di previsioni» dell’Agencia Estatal de Metereología Española (AEMET), è comprovabile che già il 28 ottobre l’ente meteorologico dichiarò l’allerta arancione in numerose aree della penisola e, dalle ore 7.42 del giorno successivo, l’allerta rossa nella zona meridionale della Comunità Valenziana. Inoltre, alle ore 12:20 il Centro de Coordinación de Emergencias de la Generalitat Valenciana pubblicò un avviso di allerta idrogeologica per le città di Torrent, Picanya, Paiporta, Alfafar, Benetússer e Sedaví, tutte attraversate dal Barranco del Poyo, già esondato alle 11.30 nel paese di Chiva, poco distante dalle già menzionate città.

A discapito degli avvertimenti, il governatore della regione alle ore 13 caricò su X un video, successivamente rimosso, nel quale dichiarava che secondo le previsioni la DANA si sarebbe diretta verso Cuenca, all’interno della penisola Iberica, e che intorno alle 18 avrebbe ridotto la sua intensità. Giusto alle 18.30 il Barranco del Poyo esondò, inondando inesorabilmente i paesi a sud di Valencia, ma solo alle ore 20.12, quando l’acqua aveva già raggiunto in alcuni casi i due metri di altezza, le persone hanno iniziato a ricevere sui propri dispositivi mobili gli avvisi di ES Alert, quando ormai era troppo tardi. Le strade dei paesi più gravemente colpiti erano ormai impraticabili, giusto mentre alcune persone tornavano a casa dal lavoro: le conseguenze le abbiamo viste tutti.

Se queste sono state le inadempienze che avrebbero potuto salvare la vita a decine di persone rimaste inghiottite nelle proprie automobili, la risposta al disastro, purtroppo, non è stata da meno.

Nonostante le opposizioni abbiano immediatamente attaccato il governo centrale di ritardo e poca collaborazione, è bene specificare che la divisione del potere esecutivo in Spagna non permette al governo nazionale di gestire direttamente la crisi, in quanto responsabilità dei governi comunitari. In questo caso, Carlos Mazón, all’aver dichiarato il secondo livello di emergenza in risposta alla DANA, mantiene il comando di tutte le operazioni e il governo non può far altro che aspettare le richieste della Generalitat valenziana. È inoltre necessario ricordare che, solo l’anno scorso, a quattro mesi dal suo insediamento, il governo di coalizione PP-Vox della regione soppresse la Unità di Emergenza Valenziana (UEV), tagliò fondi al Corpo dei Vigili del Fuoco, per indirizzarli, tra le altre cose, all’organizzazione di eventi di tauromachia.

La responsabilità dell’intervento della Protezione Civile, dell’Unità Militare di Emergenza (UME) e dei vari corpi di sicurezza dello stato, come vigili del fuoco e dell’esercito, rientra nelle competenze del governo della Comunità. Solo ieri, Sánchez, sotto richiesta di Mazón, ha annunciato l’invio di 10.000 militari, tra soldati e poliziotti, oltre ai 7.000 già presenti. 

Se le infrastrutture hanno subito i danni più evidenti, in questo momento i principali supermercati dei paesi colpiti sono completamente vuoti, a causa dell’impraticabilità delle arterie stradali. L’aiuto dei volontari provenienti da Valencia, recanti generi alimentari e beni di prima necessità, è stato provvidenziale. Inoltre, il ristagno del fango, dell’acqua e, purtroppo, la presenza dei corpi delle vittime non ancora recuperate, aumentano il rischio di infezioni e diffusione di malattie. 

La popolazione si è scagliata anche contro Pedro Sánchez, al quale viene recriminato ritardo nell’invio di forze dell’ordine verso le zone alluvionate. Oltre ai residenti, alcune compagini politiche, tra le altre Podemos, accusano il Governo centrale di non aver dichiarato lo stato di emergenza nazionale, come fece durante la pandemia da Covid 19. Soltanto così, infatti, il comando della gestione passerebbe immediatamente nelle mani del primo ministro spagnolo. Questa situazione non fa che peggiorare la percezione di una parte della popolazione verso la politica del governo, già duramente attaccata per le accuse di corruzione e lo scandalo e dalle denunce di violenze sessuali che hanno coinvolto l’ex-portavoce del partito Sumar, Ínigo Errejón. 

La condizione di totale impotenza dinanzi alla distruzione provata dalla cittadinanza colpita ha generato un’onda di rabbia e frustrazione, che inevitabilmente ha investito anche la famiglia reale, recatasi per poche ore nella cittadina di Paiporta. Il re Felipe VI, nonostante sia privo di potere esecutivo, rappresenta l’istituzione principale del paese ed era prevedibile una tale reazione nei suoi confronti. Nella giornata di ieri, i video che mostravano le lacrime della regina Letizia e il tentativo del re di mostrare empatia ed ascolto verso la popolazione colpita, hanno permesso ai media del paese di raccontare il grande coraggio e la rettezza d’animo di queste figure, che tuttavia dimostrano, ancora una volta, la grande distanza che intercorre tra loro e i problemi reali della popolazione

La responsabilità delle vittime, però, non risiede solo nella politica. Sta circolando nelle ultime ore il video del valenziano Juan Roig, multimilionario proprietario dell’azienda alimentare Mercadona, accusato da alcuni giovani, di essere responsabile della morte di molti lavoratori. Infatti, attraverso numerose denunce mosse sui social network, la suddetta azienda, nonostante l’allerta rossa dell’AEMET, ha obbligato i propri dipendenti ad andare a lavorare e, in alcuni casi, a eseguire le consegne alimentari durante le inondazioni. Tra le altre aziende responsabili figurano Glovo, Ikea, Uber, che nonostante gli avvertimenti hanno imposto ai dipendenti di recarsi sul posto di lavoro, dove spesso sono rimasti intrappolati.

Se la devastazione delle case, delle strade e delle proprietà personali non poteva essere evitata, sicuramente una comunicazione più efficace avrebbe potuto fare la differenza nel conteggio delle vittime. Mentre osserviamo l’empatia dei volontari, accorsi immediatamente per prestare aiuto, rimarranno impresse indelebilmente le responsabilità di chi, per non perdere i propri guadagni e la propria reputazione politica, ha messo fine alla vita di chi poteva, semplicemente, rimanere a casa.

[di Armando Negro]

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3 Commenti

  1. Che quadro sconfortante! D’altronde, viviamo in una società sempre più complessa, seppure sempre più interconnessa. Ma la sensazione è che la macchina organizzativa sia pronta e predisposta a muoversi per certe evenienze e non per altre. La gestione del rischio è una cosa seria, ma impopolare.

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