giovedì 14 Novembre 2024

Le grotte sottomarine ci aiutano a capire l’espansione dell’Homo Sapiens nel Mediterraneo

Contrariamente a quanto ritenuto in passato, la costa meridionale siciliana non è affatto inutilizzabile per gli studi archeologici e la sua esplorazione può portare alla rivelazione di reperti capaci persino di riscrivere la storia delle prime migrazioni dell’Homo sapiens. È quanto emerge da una nuova ricerca condotta da scienziati della Washington University di St. Louis, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla rivista scientifica PLOS ONE. Gli autori hanno analizzato e rivalutato ben 25 siti composti da grotte e ripari già identificati in passato ma dimenticati dalla comunità scientifica. Questo lavoro ha portato alla scoperta di tre ulteriori siti costieri e sottomarini mai esplorati prima, i quali hanno portato al rinvenimento di sedimenti archeologici potenzialmente significativi. Secondo gli studiosi, tali ritrovamenti potrebbero modificare le teorie precedenti sui flussi migratori dei primi esseri umani verso la Sicilia, anche se dovranno essere confermati o arricchiti dalle prossime indagini nella regione.

In passato, si pensava che la costa meridionale della Sicilia presentasse criticità insormontabili in ambito archeologico: molti studiosi ritenevano che i siti presenti nella zona fossero stati compromessi o completamente distrutti dalle forze naturali e dai fenomeni geologici, rendendo difficile trovare reperti significativi. Tuttavia, tali preoccupazioni non hanno scoraggiato il team di ricercatori della Washington University di St. Louis, che, tramite nuove tecniche di indagine sottomarina, ha effettuato ricerche rilevanti, culminate nella pubblicazione sulla rivista PLOS ONE. Gli scienziati hanno avviato campagne di collaborazione con subacquei esperti e locali – tra cui sommozzatori, pescatori e persino esperti della marina militare italiana – insegnando loro a identificare le caratteristiche archeologiche sottomarine rilevanti, hanno consultato archivi storici, bollettini e documenti del XIX secolo, e hanno condotto esplorazioni subacquee in grotte sommerse, grazie ai risultati degli studi geologici e sedimentologici effettuati con tecniche d’avanguardia.

Questi sforzi hanno portato alla rivalutazione di 25 grotte e ripari sotto roccia, permettendo ai ricercatori di scoprire altri tre siti archeologici potenzialmente capaci di riscrivere la storia delle prime migrazioni nella zona. Nel sito di Corruggi, sulla punta più a sud della Sicilia, un secondo ponte di terra avrebbe collegato l’isola a Malta e sono stati ritrovati denti di un asino selvatico europeo e utensili in pietra: «Analizzare i resti di questo sito potrebbe darci un’idea dell’ultima tappa del viaggio umano verso sud, nella costa più a sud della Sicilia e verso Malta», ha spiegato Ilaria Patania, professoressa associata di archeologia in Arti e Scienze e coautrice della ricerca. Altri indizi significativi sono stati trovati in una grotta chiamata Campolato: «Qui abbiamo scoperto prove di cambiamenti del livello del mare causati dall’ultima glaciazione e da un terremoto localizzato che stiamo ancora studiando», ha aggiunto Patania. Tali risultati potrebbero permettere agli scienziati di comprendere meglio le rotte e i tempi della colonizzazione iniziale della Sicilia da parte dei primi Homo sapiens, i quali avrebbero interagito con cambiamenti climatici e ambientali tutt’altro che indifferenti. Tuttavia, concludono gli scienziati, sarà necessario che le scoperte vengano confermate o approfondite da ulteriori studi, i quali, viste le ricerche già in corso, non dovrebbero tardare ad arrivare.

[di Roberto Demaio]

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